Forum per le Tecnologie dell’Informazione

 

Forum per le Tecnologie dell’Informazione

Convegno Nazionale – ottobre 2000

 

sommario

 

 

La politica e la società dell’informazione…………………………………………………………………………………. 2

L’ingresso nell’era digitale va progettato………………………………………………………………………………. 3

La tv digitale…………………………………………………………………………………………………………………. 3

Internet e il lavoro………………………………………………………………………………………………………….. 4

Standard aperti, sistemi operativi non proprietari e politica economica nazionale……………………… 5

La divergenza multimediale: dai mass media al caos media……………………………………………………… 6

La politica e la società dell’informazione

 

 

 

 

“Se Dio volesse creare un linguaggio universale allora userebbe quello della matematica”. Pronunciando più o meno queste parole Galileo Galilei non aveva certo la consapevolezza che, in un tempo non troppo lontano, non un Dio, ma lo stesso uomo avrebbe prodotto il primo tentativo di un linguaggio universale basato sulla matematica. Né avrebbe potuto immaginare che questa “rivoluzione” linguistica avrebbe avuto un impatto sconvolgente con gli assetti cognitivi e sociali dell’intero pianeta. Se infatti lo scienziato italiano credeva che l’esperienza potesse essere matematizzata (cioè fosse possibile scrivere una equazione matematica che descrivesse la realtà reale dei fenomeni), non avrebbe mai potuto neanche lontanamente ipotizzare che, in un futuro non poi così lontano, sarebbe potuto accadere esattamente il contrario: che attraverso la matematica si sarebbe prodotta una “realtà aggiuntiva” percepibile e interattiva attraverso una parte o l’insieme dei sensi umani. È questo, infatti, ciò che è accaduto in questi anni ed è questo quello che sta accadendo sotto i nostri occhi, ancora non troppo consapevoli della nuova realtà in apparizione. Siamo in presenza, cioè, dell’apparizione di una nuova struttura economico-sociale, con profonde implicazioni per l’intero pianeta e la stessa storia umana. L’affermazione di questa nuova realtà economico-sociale, però, non può essere lasciata a se stessa. È possibile lasciare la “progettazione” di questo nuovo continente, ad esempio, solo alla competizione aziendale, alla concorrenza mercantile? Può l’uomo sentire soddisfatta la propria coscienza, con il peso di responsabilità verso l’intero sistema vivente del pianeta, affidando il destino della nuova fase alla “libera” concorrenza del mercato? Possiamo sinceramente dirci tranquilli delle applicazioni tecniche e di consumo delle nuove conoscenze scientifiche?

Ciò che contraddistingue l’uomo dagli dei, affermava Aristotele, è la necessità della politica. Solo un dio può farne a meno, affermava il filosofo greco. E la politica non può che essere “progetto”, confronto tra idee, volontà di far emergere un progetto di società. Alla fase del lassaize faire di questi anni, ove la politica ha deciso di lasciare la progettualità all’economia, dovrà seguire necessariamente quello del ritorno alla centralità delle scelte, della centralità della politica.

 

L’ingresso nell’era digitale va progettato

 

È  evidente che gli apparati etico-morali e le stesse strutture decisionali che sono stati prodotti nella Storia del genere umano (definendo con Storia l’intero arco dei mix prodotti in ogni parte del globo nelle varie ere dall’insieme delle popolazioni che hanno vissuto il nostro pianeta), non sono sufficienti a guidarci nel Nuovo Continente. È l’intero assetto della trama sociale e politica che rischia una implosione e la stessa società rischia di non reggerne gli esiti. Il lockin tecnologico intorno alle apparecchiature digitali sta sedimentando potenzialità socio-produttive impensabili fino a qualche anno fa, ma la loro distribuzione resta fortemente differenziata per classi d’età, per classi sociali, per capacità linguistiche, per i processi d’alfabetizzazione, ecc.. Nuovi Sud digitali si stanno condensando all’interno di una popolazione che invecchia (almeno nell’occidente, che però è anche il terreno di forte avanzamento delle nuove tecnologie digitali) e che costituirà un sistema inerziale che potrebbe produrre e aumentare la divisione sociale. E queste nuove diseguaglianze si sommeranno a quelle già esistenti. Non siamo in presenza della necessità di una semplice campagna di alfabetizzazione o di sedimentazione tecnologica. Entrambi i terreni, infatti, si muovono a velocità crescenti e pongono problemi di dinamica non semplici da risolvere. Chi scrive, ad esempio, sta utilizzando un sistema operativo che è stato già superato da cinque nuove versioni, con tutte le problematiche relative al caso.

 

 

La tv digitale

il successo della radio, ma in particolare della televisione, tra gli altri fattori, si determinò per la “stabilità” tecnologica del mezzo, oltre che per la sua intrinseca facilità d’uso. Le tecnologie digitali, invece, sono caratterizzate da una velocità che ne definisce due caratteristiche fondamentali. La prima, anche se non particolarmente evidente, è la sua diffusione negli apparati e nei beni i consumo. Queste tecnologie definiamolo “non esplicite”, pur modificando il prodotto in maniera sensibile, per grande parte non “stratificano” una consapevolezza sociale. La più grande diffusione di apparecchiature a controllo numerico, cioè, rischia di non essere percepita e quindi di non aiutare l’aumento di quella che fu definita la “sensività tecnologica”. La seconda caratteristica è la proliferazione tecnologica degli standard e delle incompatibilità. Sarebbe lungo, ma facile, fare l’elenco delle apparecchiature di comunicazione che abbiamo nelle nostre case che non dialogano tra loro. Tutto ciò scoraggia non tanto gli acquisti di nuove apparecchiature, ma l’idea di usi integrati dei mezzi, producendo una inerzia d’utilizzo che non facilità la diffusione di massa dell’idea della multimedialità. Interconnessione, interoperatività, standardizzazione sono, dopo più di un ventennio dal lancio dei primi personal, ancora un sogno. Probabilmente sarà proprio per questo motivo che il ruolo della tv digitale avrà un peso determinante nei prossimi anni. Nessun utente televisivo, infatti, conosceva la tecnologia utilizzata dentro lo schermo televisivo, ma la gestione dei canali era molto semplificata. Bastava avere un telecomando (da un certo periodo in poi) e selezionare il canale desiderato. Questa semplicità fece la fortuna del sistema televisivo commerciale. Oggi il nuovo territorio della comunicazione digitale è molto complesso. Set top box incompatibili, collegamento ad Internet per un apparecchio che non è la TV, una valanga di offerte differenziate per i collegamenti, logiche di menù per la gestione dei canali differenti da operatore ad operatore, creano una difficoltà di orientamento in un territorio che non è conosciuto e rischia di rimanere oscuro.

L’idea di un set top box unico e compatibile produrrà sicuramente effetti duraturi e, in larga misura, inaspettati, in attesa che il protocollo TCP/IP non diventi una nuova infra-struttura produttiva generalizzata.

 

Internet e il lavoro

 

Le nuove strutture comunicative legate ad Internet, infatti, diverranno patrimonio generale attraverso il lavoro. Quelli che ipotizzarono che Internet si sarebbe affermato come il territorio della comunicazione personale commettevano un grande errore prospettico. Le grandi masse di persone, conosceranno la rete perché nel proprio ufficio, nella propria azienda, nel ciclo produttivo ove saranno inseriti, si affermeranno sempre di più strutture di comunicazione e di controllo strutturate sul protocollo TCP/IP. Questo genererà il vero salto di qualità nella diffusione della rete delle reti. Da quel momento in poi, potemmo affermare di essere entrati nella società dell’informazione. Fino ad oggi, infatti, non abbiamo visto che i suoi primi vagiti. L’affermazione della rete telematica come infrastruttura di base della produzione di beni materiali e immateriali e nella definizione di un nuovo ciclo produttivo è ancora ben lontana dall’essere una realtà generalizzata. La generalizzazione dell’uso delle nuove tecnologie digitali nei prossimi decenni proporrà ridefinizioni globali della stessa esistenza. Qui si apre il capitolo gigantesco della condizione del lavoro, della sua dimensione planetaria, delle tutele e delle garanzie. La legislatura che si sta chiudendo poco e male ha fatto in questo nuovo terreno, sia in termini di protezione sociale, sia in termini di definizione attiva di contesti produttivi. Prendiamo ad esempio tutta la partita dei software della pubblica amministrazione. Perché il nostro paese non si dotato di una strategia per i software non proprietari da diffondere per la distribuzione delle pratiche e dei documenti? Perché non ha proposto a livello europeo una tale scelta? Perché, ad esempio, non ha attivato processi anticoncentrazione analoghi a quelli aperti negli Stati Uniti nel campo dell’informatica, riaprendo i termini di una competizione industriale nella quale il nostro paese avrebbe e può giocare una carta ancora valida?

 

Standard aperti, sistemi operativi non proprietari e politica economica nazionale

 

L’utilizzo della pubblica amministrazione per determinare aree di intervento industriali non è certo una novità. Da quando Keynes ne codificò l’utilità nessuna nazione al mondo ha rinunciato a tale possibilità, sicuramente come dato di fatto anche se, a volte, in via di principio è stata disconosciuta la sua utilità. Ora risulta incomprensibile come, in questi anni di veri e propri travolgimenti produttivi, il nostro paese sembra rimasto senza una vera e propria strategia industriale nei settori avanzati. I settori di punta dell’economia nazionale escono, dal decennio novanta, fortemente ridimensionati. L’industria dell’auto ha perso un suo ruolo e i nuovi assetti di proprietà della Fiat annunciano un forte ridimensionamento del suo ruolo nazionale. La chimica, il settore alimentare, la siderurgia, la meccanica risultano fortemente orientati verso una innovazione di processo, che rende la nostra industria debole nella competizione e, in qualche modo, sussidiaria. Più che una politica di integrazione siamo diventati un territorio d’incursione produttiva e proprietaria. L’industria informatica, che solo un decennio or sono poteva contare su posizionamenti strategici in ambiti significativi (si pensi ai sistemi per le banche nelle quali eravamo leader mondiali), è oggi praticamente inesistente. Il sistema comunicativo, bloccato dal monopolio delle risorse, è più debole ed esposto alle possibili acquisizioni internazionali. Quello delle telecomunicazioni si è ridotto da sistema produttivo integrato e competitivo su scala mondiale, a mero mercato di consumo, su tecnologie e infrastrutture non nazionali.

Ora occorre una inversione di tendenza. Nessuna politica di autarchia né tecnologica, né di consumo, bensì una scelta di politica economica nazionale che riconduca le nostre capacità produttive tra quelle dei paesi più avanzati. Una chiara politica antitrust, un ruolo della pubblica amministrazione che sia di rilancio dell’industria nazionale, la possibilità di utilizzare il potenziale accumulato sotto il profilo del consumo per produrre un grande laboratorio dell’innovazione di prodotto, principalmente nei settori immateriali ove l’investimento finanziario e tecnologico può essere contenuto. Tutto ciò necessita di una politica chiara e di scelte precise e coordinate.

Attenzione ai nuovi settori, quindi, e l’assunzione di una progettualità industriale e sociale restano al centro delle necessità della nuova fase. C’è troppa “stanchezza” e accettazione delle “categorie” in maniera a-critica. Questo produce non solo un ritardo sotto il profilo della comprensione dei fenomeni, ma anche un ritardo nella possibilità di sfruttare la fase.

 

La divergenza multimediale: dai mass media al caos media

In questi anni, ad esempio, si è sottolineata, da parte di tutti gli esperti, la categoria della cosiddetta “convergenza multimediale”. Il termine, a mio avviso, andrebbe rivisitato. Infatti, se dal punto di vista dell’introduzione dell’elaborazione matematica delle informazioni, siamo in presenza di una tecnica che punta a convergere, come pure siamo in presenza di un processo di concentrazione economico finanziaria e di controllo senza precedenti, in termini di consumo e di prodotto informativo siamo in presenza di una esplosione di modalità e contenuti che somigliano sempre di più ad una vera e propria diaspora comunicativa. Oggi risulta difficile e altamente complesso sapere effettivamente come e cosa si consuma da punto di vista comunicativo. L’esplosione delle offerte radiotelevisive, i mix personalizzati con le fonti scritte, la comunicazione mediata da computer, costituiscono un universo in espansione sempre più incontrollabile. L’avvento del digitale, rende più frammentato il discorso sociale, lo scambio di esperienze al di fuori del gruppo di riferimento. Le tecniche digitali hanno prodotto, sul piano sociale, una divergenza comunicativa difficilmente ricostruibile sotto il profilo dell’analisi. Dal sistema sociale basato sui mass media, stiamo passando ad un sistema sociale che potremmo definire del caos media. La dimensione caotica, come si sa, ha le sue leggi che non possono che essere altamente probabilistiche. Una struttura comunicativa largamente insondabile sta avvolgendo la società, sovrapponendosi su quelle esistenti. Lo scenario produttivo e sociale ne rimane stravolto. Fonti, proprietà intellettuale, riservatezza, rottura dello scambio sociale e costituzione di comunità “fredde”, possibilità d’intervento sul codice genetico degli esseri viventi, sono solo alcune delle caratteristiche della nuova fase produttiva. Un territorio nuovo nel quale abbiamo bisogno di una nuova segnaletica sociale e politica che sappia ricostruire un tessuto di relazione che possa essere un valido substrato sociale. Rispetto a qualche decennio fa, cominciamo a comprendere di più e meglio cosa significa l’introduzione di alcune nuove forme nello scambio comunicativo. Non possiamo accontentarci di lasciar fare agli avvenimenti.

 

 

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