Scappare dalle nuove tecnologie perché sono un pericolo ed un rischio per la collettività? O provare ad indirizzare i processi tecnologici verso una logica che non sia solo quella del profitto e del libero mercato, come chiede il capitale? E’ davanti a queste domande, che diventano una sfida, per chi vuole rifondare un pensiero ed una pratica comunista, che ci troviamo di fronte. Come far convivere sviluppo e democrazia. Società dell’informazione, multimedialità, convergenza tecnologica. Parole che rappresentano il cuore del futuro della democrazia di questo Paese. Si sta parlando, infatti, di come affrontare un nuovo modello di sviluppo. Se non ci saranno proposte ed iniziative concrete, di lotta e cultura politica altra, la logica del mercato determinerà, in ogni caso, la vita d’intere generazioni.
Come ci ricorda la compagna Contin, infatti, nel suo libro “la solitudine tecnologica”, <non è moderno parlare di modo di produzione capitalistico, ma non si può sottacere che, dietro a termini accattivanti come: virtualizzazione, mondializzazione, globalizzazione, assunti nel lessico politico moderno da tutte le forze – in una sorta di fascinazione condivisa, nonché di colonizzazione culturale – si tratti sempre dell’estensione globale del modo di produzione capitalistico, per quanto virtualizzato e smaterializzato>.
Quindi, globalizzazione, liberalizzazione, finanziarizzazione: ossia destrutturazione produttiva degli apparati a favore della trasformazione delle nostre aziende nazionali in puri vettori delle produzioni sia di apparati, sia di prodotti. Pensati su scala mondiale dalle multinazionali globali.
Il passaggio, da un processo di produzione dei soli beni materiali, a quello in cui i beni immateriali diventano egemoni, necessita di un progetto, ancor più necessario alla luce delle tante, troppe privatizzazioni che hanno coinvolto la filiera della comunicazione, un progetto che sappia parlare non solo alle aziende dell’informatica, dell’audiovisuale e delle telecomunicazioni ma all’intera società.
I tempi non sono neutri e non si può sottostare a quelli del libero mercato.
Non si può accettare che lo sviluppo si determini solo nelle aree forti del Paese, che sono in grado di dare subito un ritorno economico.
Per questo non è irrilevante chi gestisce l’infrastruttura della rete telematica. C’è un problema d’accesso, di alfabetizzazione, di censo strettamente legati alle nuove regole della democrazia. C’è un problema di quale tipo di prodotti saranno veicolati nella rete. Troppe realtà sarebbero condannate all’emarginazione. Per evitare che al Sud geografico si sovrapponga quello che abbiamo chiamato un nuovo “Sud digitale” dobbiamo garantire una pari opportunità d’accesso e di fruizione.
Siamo in presenza di un nuovo paradigma che ha bisogno di essere esplorato sia sul piano tecnologico, sia su quello dell’alfabetizzazione sociale.
Non è la capacità di innovazione, sempre più alta e sempre più accelerata, immessa nel modo di produzione, che mette in crisi la nostra capacità di analisi, ma è nelle caratteristiche specifiche di questa tecnologia, nella sua pervasività, nel suo saper parlare in maniera trasversale e, quindi, egemone al modo del produrre, del produrre cultura, informazioni, del produrre merci, di produrre socialità.
Se la grande Rete dovrà offrire sempre più informazioni a richiesta e la navigazione sarà sempre più guidata, chi guiderà la navigazione?
E se le merci saranno acquistate online, come cambierà la rete di distribuzione delle nostre città?
La vulgata ideologica neo-liberista contro tutti i servizi pubblici ha visto coinvolto anche le Poste Italiane, la più grande azienda pubblica del Paese con i suoi 185mila dipendenti. Le argomentazioni sono state le più varie. Una per tutte che una volta privatizzate le aziende, diminuirebbero automaticamente i costi dei loro servizi. Non è stato così per Telecom, che, infatti, ha dismesso il progetto Socrate per il cablaggio delle città, perchè il costo delle aree urbane e metropolitane, prima pagato dalla collettività, non era più sostenibile in una logica privatistica. La stessa tariffa postale è stata ritoccata verso l’alto di un 10%.
Come Partito abbiamo considerato strategico questo settore e abbiamo difeso le Poste pubbliche perché convinti che, accanto ai soggetti privati, ci debba essere un’azienda pubblica in grado di svolgere una missione specifica e con una spiccata valenza sociale.
Negli Stati Uniti, le poste sono e saranno delle State-Corporations, ovvero un ente di stato che svolge servizi pubblici postali. Questo dato, che potrebbe sembrare anomalo visto che si sta parlando della patria del libero mercato, ha invece una spiegazione riconducibile al ruolo che hanno avuto negli USA le poste e la figura del postino, celebre per mezzo di tanti film importanti, per la coesione e l’identità nazionale, a causa delle grandi distanzi territoriali. Non è un caso che, sulla figura del “mitico” postino americano, Kevin Costner abbia deciso di girare, due anni fa, un Kolossal (ispirandosi al libro di fantascienza di David Brin) dal titolo non troppo originale di “The Postman”. Film ambientato nell’anno 2013, dove il mondo è in stato di devastazione post-nucleare. La popolazione si è rifugiata in comunità primitive, che lottano per la sopravvivenza, ma non sono in grado di comunicare tra loro. Ma un giorno un vagabondo solitario riaccende una speranza nel futuro, quando per ottenere cibo e rifugio nei villaggi isolati, che incontra sul suo cammino, accetta di fare il postino. Così la posta che consegna diventa un simbolo di speranza ed un modo per riannodare i fili della civiltà. In Italia il libro è stato tradotto con il titolo “il simbolo della rinascita”.
E forse anche per questo che riuscì lo sciopero dei lavoratori postali americani contro l’UPS, dell’agosto del 1997. Allora la multinazionale americana delle poste private fu piegata da uno sciopero che resse 15 giorni, un avvenimento tanto insolito nelle vicende del sindacato americano. Fu definita dai capi sindacali la prima grande vittoria sindacale negli Stati Uniti da quando Ronald Reagan autorizzò il licenziamento in tronco di miglia di controllori di volo in sciopero, gettando le basi per la più grande e duratura batosta sindacale della storia recente americana L’importanza di quella vittoria, in controtendenza rispetto allo slancio generale per la precarizzazione e la flessibilizzazione del lavoro fu sancita da tutti gli osservatori made in USA, che spesero fiumi di inchiostro per affermare che quella lotta era diventata il simbolo di un’intera costellazione di vocaboli della flessibilità, una costellazione che l’America non aveva ancora digerito come poteva sembrare. Parole come lavoro temporaneo, lavoro in affitto, outsourcing ed altri ancora erano diventati così familiari ai lavoratori americani, e di conseguenza a quelli del resto del mondo, che le aziende non prevedevano una protesta di massa su quei temi. La protesta invece ci fu e, clamorosamente, con l’appoggio delle gente, di quegli stessi americani che avevano invece applaudito al licenziamento di massa ordinato da Reagan.
Nessuna azienda, quale quella postale italiana, può vantare una così ricca presenza sul territorio (12 mila uffici postali) e, quindi, una così capillare rete di collegamento. Come può essere messa in relazione con le nuove necessità distributive del commercio elettronico? E come interagirà sul terreno della città e della struttura distributiva?
Il modo per non essere semplicemente terreno di conquista e di colonizzazione culturale, copiando impercorribili modelli organizzativi a noi perfettamente estranei, è quello di cercare di mantenere e di difendere i modelli della nostra cultura nazionale, coincidenti con le aspettative ed i bisogni dei cittadini, ed anzi di ampliarli e migliorarne la fruibilità. E’ necessaria, quindi, una integrazione dei progetti delle Poste Italiane S.p.A. ed i progetti delle città.
La forte capacità interattiva offerta dai nuovi sistemi tecnologici di trasmissione delle informazioni sta rivoluzionando la struttura distributiva dei tradizionali modelli commerciali. Fin dalla esplosione del WEB, agli inizi degli anni’90, il commercio telematico su Internet ha alimentato una fitta ragnatela di scambi comunicativi che stanno sfociando in scambi di natura commerciale.
Con l’avvento del commercio elettronico, la promozione del prodotto e la transazione per la sua compravendita avverranno online, ma qualcuno dovrà recapitare i prodotti a tutti coloro che acquistano senza muoversi da casa. Quindi, fino a quando non si arriverà al fantascientifico teletrasporto, dove un oggetto scompare e si materializza in un altro luogo, sino ad allora ci sarà bisogno di spostare fisicamente delle merci. Ed è su ciò che si stanno concentrando gli sforzi per il controllo dei mercati. E le compagnie americane si lanciano alla conquista di posizioni dominanti.
Per questo possono essere individuate forme di transazione economica, che proprio a partire dalla capillarità degli uffici postali possa consentire l’utilizzo della struttura distributiva e quella parabancaria.
I cambiamenti nel mondo del lavoro rappresentano un argomento ampio e complesso. Le grandi trasformazioni che hanno caratterizzato la fine del millennio producono riflessi diretti sulle politiche del lavoro. L’innovazione tecnologica tende a rendere sempre più rapido il ciclo di vita di molte produzioni. L’innovazione fa aumentare la divisione in due parti della domanda di lavoro, che richiede da un lato persone altamente specializzate con elevato contenuto formativo e dall’altro, lavoratori generici da impiegare in attività di basso contenuto professionale.
Ci troviamo davanti a nuovi mestieri come i servizi alla persona, le attività del tempo libero, che vedono l’aumento dei rapporti di lavoro atipici, che innescano processi di destrutturazione nella definizione dei compiti, delle modalità di esecuzione e degli orari, rispetto alle tradizionali forme organizzative del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Questi modelli generano anche effetti sull’offerta di lavoro, con una spinta all’omogenizzazione dei comportamenti e degli stili di vita.
La politica di espansione americana sui mercati mondiali da una parte è affidata a vere e proprie “corazzate” della comunicazione, le cui dimensioni crescono attraverso operazioni di fusione o tramite una fitta rete di alleanze. Esemplare è quella tra Microsoft e NBC, con l’obiettivo di lanciare la Tv via Internet e, dopo l’acquisizione di Web Tv da parte di Bill Gates, anche di lanciare Internet sullo schermo televisivo. Però, dall’altra parte, la politica della Casa Bianca si basa sul ruolo della Pubblica Amministrazione nelle diffusione delle autostrade informatiche a tutti i settori della popolazione. Così la sfida americana si fonda sia sul versante dell’hardware, sia sul dominio dei prodotti.
E’ per questo che dobbiamo ripartire da come la città si riorganizza nelle sue strutture e tentare di progettare la sua mutazione prossima ventura.
Il luogo della condivisione sociale, sin dall’antichità, è stato la piazza. Anche la rete è una grande piazza telematica. La presenza della rete metterà un centro urbano in contatto con il resto del mondo. Lo spazio della città sarà moltiplicato per quanto collegamenti ci saranno tra i suoi abitanti e quelli della rete. La gestione dei tempi della città potrà essere stravolta e moltiplicata. Ci troviamo, cioè, di fronte ad una nuova dimensione metropolitana. Allora bisogna capire quale rapporto ci deve essere tra le attuali città e l’innovazione tecnologica. Come l’innovazione tecnologica incide sulla città, sulla sua struttura urbanistica. La rete potrebbe trasformare il cittadino da amministrato a soggetto attivo, ma i luoghi e le modalità della politica andrebbero ripensati. I centri urbani potrebbero, così, essere investiti da un profondo cambiamento che interessi i rapporti sociali, il rapporto persona-istituzioni, persona-servizi, i rapporti reciproci delle attività economiche, culturali con i diversi livelli di governo.
La città ritornare ad essere il luogo di formazione di una socialità reale, che si arricchisce di quelle immateriali della Rete.
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