L’occasione della Santificazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II ci offre l’occasione per misurare la distanza tra due fasi del ‘900. Esiste uno spartiacque che può sfuggire agli occhi dei contemporanei o che può sembrare scambiato semplicemente per il trascorrere del tempo, e che, invece, segnala la distanza abissale tra i mondi, le realtà sociali e umane vissute dai due Papi-Santi.
In occasione della morte di Giovanni XXIII, infatti, la Televisione di Stato sospese le trasmissioni in segno di lutto. Fu un segnale in sintonia con la vita del tempo. Un ritrarsi dallo sguardo pubblico per convergere sulla dimensione intima della riflessione del significato della vita che, in maniera ineliminabile contiene la morte. L’eco del pensiero filosofico novecentesco, si allungava nella vita quotidiana a invocare spazi esterni alla rappresentazione (e alla esposizione) pubblica. Una dimensione privata necessaria allo sforzo di comprensione dei passaggi fondamentali della vita umana.
Alla morte di Giovanni Paolo II si parlò a lungo della reale ora del decesso che avrebbe dovuto coincidere con quella della maggiore visibilità mediatica dell’evento. Le televisioni di tutto il mondo sospesero la normale programmazione per dedicare dirette alla morte del Papa. Una risposta totalmente opposta a quella accaduta solo pochi decenni prima. Una risposta che segnala un percorso gigantesco compiuto nel ruolo dei mass media sia dal punto di vista informativo ma soprattutto dal punto di vista introspettivo. L’avvenimento della morte del Papa doveva riempire il flusso comunicativo, andare in diretta, esporre ogni dettaglio, farlo vivere come rappresentazione dell’evento stesso. Lo stesso numero di filmati a disposizione dei due eventi non rappresenta solo una dimensione tecnologica, ma l’esplosione della partecipazione attraverso la rappresentazione soggettiva e autorappresentata.
Oggi, la grande giornata di partecipazione popolare e planetaria, ci dicono i telegiornali in edizione straordinaria, è terminata in un gigantesco flusso di “seflie”, gli autoscatti che hanno coinvolto tutta la piazza iniziando da quelli autorevoli dei potenti della terra con Papa Francesco. Una modificazione delle relazioni e delle loro forme che fa assumere anche alla partecipazione fisica un significato diverso, almeno quanto le piazze riunite in contemporanea, a Roma e nel mondo, davanti agli schermi della diretta televisiva.
Oggi la rappresentazione della realtà, gli strumenti che la consentono, la capacità di autoproduzione del flusso comunicativo e informativo stanno ridisegnando il panorama più profondo del nostro modo di stare al mondo, di partecipare, di esserci.
Per questo le regole che definiscono i poteri e i controlli su tale flusso e su tali tecnologie devono tornare ad essere al centro del dibattito sui destini delle nostre società, delle nostre demomcrazie.
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