La crisi e la Transizione: 4 – Ricorsività tecnologica digitale

Dalla ricorsività tecnologica (meccanica) alla ricorsività tecnologica digitale

Se quasi tutti gli economisti si concentrano esclusivamente sulla moneta, come se tutto da ciò derivasse, esiste un altro elemento che distorce le scelte che vengono effettuate dalla politica e dalle parti sociali.

È una deformazione che deriva da un assunto che l’umanità intera si porta dietro da quando, con l’invenzione del martello, la storia umana approdò alla costruzione di strumenti necessari al fare. La tecnologia moltiplicava costantemente il poter fare di una mano estendendo le possibilità fino a limiti impensabili. Inutile fare esempi, sarebbe poco esaustivo di una vastità di storia e di opzioni che la tecnologia ha accumulato in millenni.

Il punto più alto, probabilmente, fu il raggiungimento di quella complessità rappresentata dalla fabbrica tayloristica. Lì, infatti, l’intreccio tra il fare delle braccia e l’intelligenza organizzatrice che sopraintendeva al processo, consentì l’esplosione della capacità del fare umano. Certo il prezzo da pagare per raggiungere tale potenza produttrice fu enorme. Le gesta ripetute milioni di volte, con ritmi incessanti e non determinati dalla persona ma dal ciclo, obbligarono gli individui a piegarsi come mai in passato. L’umanità necessaria a compiere tale sforzo e ad essere compatibile con tale alienazione, come ci ammoniva il Gramsci dei Quaderni, veniva ad essere generata dallo stesso processo produttivo. In cambio di tale trasformazione “genetica” della missione umana, si poteva accedere al “consumo”. Una sorta di grande baratto nel quale il processo di alienazione veniva scambiato con la possibilità di accedere alle merci.

Il fordismo costruiva l’umanità di cui necessitava per esistere. In quegli anni di accelerazione dello “sviluppo” si consolidò l’idea che ogni posto di lavoro che veniva cancellato dall’introduzione di una nuova tecnologia, veniva compensato dalla creazione di un numero maggiore di posti di lavoro nell’industria che produceva quella nuova tecnologia. Il processo, anche se contro intuitivo, funzionò esattamente così. Almeno per qualche decennio. Il tempo sufficiente per consolidare una cultura diffusa, cultura sulla quale sindacati, partiti, istituzioni, economisti (i pochi che si occupano di produzione e non di moneta…), hanno costruito ipotesi di lavoro e prospettive politiche.

Poi arrivò il digitale e l’industria informatica.

Per un periodo abbastanza lungo, questo nuovo settore sembrò rispettare le stesse regole dei settori di tecnologia meccanica. La creazione di posti di lavoro nel settore che sviluppava applicativi, sistemi e analisi, affiancò i settori tradizionali dell’occupazione. Nessun allarme veniva registrato perché, anche gli analisti, sono sempre rivolti a ciò che è già accaduto e mai alle potenze che le cose che accadono contengono e svilupperanno. È come una marcia fatta con lo sguardo all’indietro, un cercare di decidere come compiere un passo osservando le buche che abbiamo superato ieri. La velocità e la qualità dei processi introdotti dal digitale non consente più tali comportamenti e i risultati, sul piano sociale, politico e anche a livello di credibilità istituzionale, si possono osservare in tutti i paesi del mondo.

La “legge” della cosiddetta ricorsività tecnologica, quella che sosteneva che alla cancellazione di un posto di lavoro derivante dall’introduzione di una tecnologia, il sistema produttivo avrebbe risposto, nel suo complesso, con la creazione di due posti di lavoro, funzionò, probabilmente, fino all’arrivo delle tecnologie digitali. Furono sufficienti solo un paio di decenni per giungere al “punto di breaking” nel quale, l’introduzione delle macchine robotizzate e dell’intelligenza artificiale, produsse i primi segnali del nuovo rapporto tra tecnologia e lavoro.

Le implicazioni di tale nuovo terreno dovrebbero essere chiare ed evidenti. Il tema della crisi sistemica, infatti, non risiede nella forma della moneta e/o nella concentrazione del controllo della sua circolazione. Infatti, se sul modello della moneta si può intervenire sul piano delle decisioni politiche, sulla forma della produzione è molto più difficile prendere delle decisioni. Anzi,  all’interno del modello sistemico, è impossibile fermare la corsa dei processi di robotizzazione e di introduzione dell’Intelligenza Artificiale.

Il processo di ricorsività tecnologica, quindi, trasla di paradigma e diviene una ricorsività tecnologica digitale con un senso inverso e moltiplicato almeno per tre. Uno studio del National Bureau of Economic Research del 2017 condotto dagli economisti Daron Acemoglu e Pascual Restrepo, infatti, si analizza il mercato del lavoro statunitense tra il 1990 e il 2007. Lo studio ha determinato che ogni nuovo robot, aggiunto alla forza lavoro manuale esistente, ha significato una perdita di posti lavoro compresa tra 3 e 5,6 unità.

Il processo analizzato, inoltre, è relativo ad una fase in cui le tecnologie digitali introdotte nel ciclo produttivo risultano ancora primordiali rispetto alle acquisizioni degli ultimi 3-5 anni e, soprattutto, a quelle che sono previste per i primi 5 anni del prossimo decennio, un aumento della potenza, della flessibilità, della ubiquità che ancora non è ben compresa nei suoi risvolti economico-sociali.


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