Bayer-Monsanto, un matrimonio che non s’ha da fare…

 Come dimostra la vicenda Bayer-Monsanto, l’accelerazione dei processi di innovazione obbliga a nuove forme di Antitrust

“Il cibo come cura” è stato uno dei leitmotiv dello scorso anno alla kermesse mondiale sul cibo di Milano. Convegni, incontri, riflessioni, fiumi di parole, addirittura una Carta fatta firmare a circa un milione di persone con impegni per tutti: cittadini, imprese, istituzioni. E invece, sotto sotto, le logiche del mercato avanzano inesorabili, senza nessun infingimento o remore e senza un segnale da parte di istituzioni o di forze della politica che sappiano far aprire gli occhi alle persone.

A dire il vero sono stupito della potenza di controllo di alcuni centri di potere e della incapacità delle forze progressiste, di sinistra, antagoniste e via dicendo di aprire vertenze e conflitti nell’attuale mondo. I conflitti e le vertenze in grado di cambiare il corso della storia, di aprire squarci nei sistemi di potere. Insomma di re-indirizzare il corso delle cose.

Partiamo dalla comprensione delle tendenze. Nell’era della globalizzazione digitale il sistema delle imprese sta divenendo non solo centralizzato in termini verticali (costruzioni di multinazionali settoriali che si scontrano per la costruzione di oligopoli mondiali come era nella vecchia fase globale) ma puntano alla costruzione di poche multinazionali orizzontali, plurisettoriali, in grado di costruire filiere integrate di prodotti e settori che, fino ad oggi, restavano nei loro ambiti.

Pensate a quello che sta accadendo nel settore dell’automotive, con le grandi multinazionali digitali (Google in testa) che sperimentano direttamente nuove automobili che rappresentano un livello di integrazione con lo sviluppo dei sistemi a rete della cosiddetta Internet delle cose. La tendenza che si affaccia (ed Apple rappresenta la punta avanzata di tale “proposta” di modello di consumo) è quella di definire una sorta di immagine personale, individuale, attraverso la scelta di un marchio che rappresenti una “filosofia di vita”. Hai un Iphone? O un Samsung? Lo scontro sembra andare verso la definizione di duopoli, di due immagini contrapposte ma che si spartiscono l’intera torta del consumo.

Su questa tendenza la politica nel mondo sembra incapace di mettere mano, assistendo inerte alla costruzione di concentrazioni planetarie con forza e capacità di generare “situazioni di fatto” con “il consenso di massa” prodotto dalla scelta del consumo, sulle quali la politica non può e non potrà, sempre più, nulla. Le grandi multinazionali già affermano apertamente che la velocità dei processi di innovazione non possono essere affrontati dalle istituzioni politiche e che la barra della navigazione deve essere riconosciuta alle aziende e, in seconda battuta, ai consumatori. È la logica degli stakeholders, i portatori di interessi: da una parte le aziende che devono vendere e dall’altra i consumatori che devono consumare. Se trovano un accordo loro, a cosa serve una politica e le loro istituzioni che, all’interno della logica sistemica del welfare state, sembra essersi ridotta a mero intervento della possibilità del consumo?

Poi accadono dei fatti specifici che potrebbero aiutarci ad uscire da questo accerchiamento, dei punti di rottura che dovrebbero far aprire gli occhi, contraddizioni che dovrebbero far partire vertenze e conflitti. Solo che non accade nulla e questo lascia smarriti e increduli, soprattutto quando il dibattito su ciò che andrebbe fatto, in particolare a sinistra, resta permanentemente ancorato alla discussione sugli schieramenti elettorali, sulle soglie delle leggi elettorali o giù di lì.

Si tratta proprio di un conflitto di interessi “materiale” e “planetario” che dovrebbe far alzare i peli sulla schiena anche ai politicanti più avvezzi alla gestione degli interessi e dei compromessi e generare una riscoperta del ruolo e della dimensione “complessa” della sfera della politica. Nei giorni scorsi, infatti, la Bayer ha annunciato la scalata alla Monsanto. Tutte le riflessioni, più o meno critiche che siano, si soffermano o sul tema delle potenzialità economiche della costruzione del gigante planetario o, nel caso di critica, della inopportunità della creazione di un colosso così potente.

Il punto, a mio avviso, è racchiuso sulla “qualità” dell’operazione. L’acquisizione della Bayer costruirebbe un gigante che chiuderebbe un ciclo di interessi in grado di mettere sotto controllo lo stesso processo vitale. Come ci hanno ricordato per mesi durante l’Expo, il cibo è la prima cura e costruire un colosso che ha la possibilità di costruire cibo geneticamente modificato, in grado di produrre distorsioni a breve e a lungo termine sul naturale processo evolutivo del sistema pianeta-cibo-uomo e, al contempo, produrre gli interventi sanitari e medicinali che possono intervenire nella “cura” delle persone è mefistofelico.

L’era digitale necessita sempre più di una nuova forma di strutture antitrust. Non è più sufficiente la scelta, prodotta un centinaio di anni fa, di strutture di controllo “quantitativo” della composizione di un mercato, ma la costruzione di scelte politiche che sappiano intervenire sulla “qualità” dei futuri incroci di interessi che mettono in discussione non soltanto delle libertà “economiche”, ma lo stesso destino di libertà degli individui, di vita e di garanzia della stessa evoluzione biologica dell’intero pianeta e non solo dell’umanità.

Una simile acquisizione andrebbe vietata “a prescindere”, avrebbe detto il principe de Curtis. Dobbiamo costruire confini non comunicanti, anzi, obbligati ad un conflitto permanente di interessi divergenti, in questa nuova era digitale. far balenare la necessità di una nuova categoria di diritti e doveri proprio per la totale ubiquità e potenzialità delle innovazioni introdotte dal digitale. Invece il silenzio. La non curanza della politica, l’incapacità di “vedere” i nuovi conflitti, le nuove contraddizioni, le nuove forme del capitale contro le quali organizzare le lotte.

“sviluppare un sistema di commercio internazionale aperto, basato su re­gole condivise e non discriminatorio capace di eliminare le distorsioni che limitano la disponibilità di cibo, creando le condizioni per una migliore si­curezza alimentare globale” recita uno dei passaggi della “Carta di Milano”. I soggetti ispiratori di tale carta dovrebbero, ora, far sentire la loro voce per indicare un pericolo di nuovo tipo, oppure restare in silenzio per sempre, ammettere il loro fallimento o denunciare la totale strumentalità della loro azione. La sinistra dovrebbe battere un colpo e indicare questi terreni come i terreni della sua ricostruzione. Anzi, i terreni della costruzione della sua nuova forma. Ma chissà se ne sarà capace…

Intanto la sapienza popolare già sapeva da tempo che “La salute vien mangiando” e che ad un certo punto della storia avremmo avuto al supermercato e in farmacia prodotti targati Bayer.

 


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