Le ultime novità dalle fiere tecnologiche e la politica
Alle ultime fiere dell’innovazione si affaccia sempre più chiaramente la volontà di proiettare l’utente consumatore in una nuova fase di quella che io chiamo la terraformattazione del nostro pianeta alla logica del mercato dell’intero reale disponibile. Dal 29 di questo mese, chissà se la scelta di una data che ricorre ogni 4 anni sia stata una scelta consapevole, sarà disponibile l’ultima periferica necessaria ad entrare nel mondo della realtà virtuale.
Anni fa nel meraviglioso film, uno dei rari della fantascienza italiana, il Nirvana di un magico Gabriele Salvatores, si potevano scorgere persone che attraversavano le strade senza osservare il mondo intorno a loro. Il loro sguardo era concentrato su uno schermo che portavano davanti ai loro occhi. Ricordo il senso di fastidio ed estraneità provato nel guardare quelle scene. Immagini che ormai ritrovo nelle metropolitane del mondo e lungo le strade, qualunque latitudine attraversi. Senza che destino più alcun senso di fastidio o alterità. All’interno delle quattro pareti della nostra auto o in mezzo alle persone in un vagone, gli occhi di 7 persone su 10 sono concentrati su uno schermo a cercare disperatamente una connessione con un reale che non si riesce a vedere intorno ai propri corpi. Come una disperata ricerca di un aumento delle potenzialità di connessione con il reale che si ricerca attraverso connessioni virtuali, annaspiamo alla ricerca di un molo al quale agganciare la disperata fune di umanità che gettiamo permanentemente dai nostri corpi. Una spirale perversa che ci spinge a connessioni multiple per abituarci sempre più a processi di consumo multiplo a cui il mercato aspira. Tutto deve essere multiplo e stratificato, segmentato per consentire di moltiplicare le occasioni di essere, cioè di consumare.
Ma mentre stiamo ancora digerendo la nuova modalità di rapporto con questa nuova forma di reale leggermente ibridato e con le persone ancora in carne ed ossa, il mercato annuncia la necessità di una nuova fase, ci chiede ancora uno sforzo.
Il processo di ibridazione tra reale e virtuale, infatti, sta per vivere un ulteriore salto in avanti. Da un lato abbiamo i processi di robotizzazione che avanzano. Macchine che di virtuale sembrano avere poco, ma che basano la loro possibilità di circolare nel nostro mondo poggiando su una infrastruttura in larga misura immateriale fatta di una conoscenza così ampia e in costante accrescimento che punta a trasformarsi in coscienza. Dall’altro abbiamo lo sviluppo di interfacce che mirano a portare i nostri sensi verso ampliamenti inaspettati e, ad ora, incalcolabili.
L’immersione della realtà virtuale nella sfera della vita è ormai commercialmente pronta. Le forme e le potenzialità aumenteranno esponenzialmente come tutti i sistemi macchinici basati sul digitale. Trasformare la realtà in cyberspazio sembra essere la nuova frontiera della rete e del capitalismo. Come quando più di cento anni fa, si affacciava la mobilità individuale come nuovo confine della libertà da proporre alle masse, oggi la trasformazione della realtà in un oggetto matematizzabile, calcolabile, gestibile, controllabile attraverso sensori, terminali, banche dati, sembra essere la nuova frontiera da conquistare.
Anni or sono un mirabile romanzo di fantascienza scritto da un italiano, e già questo dovrebbe incuriosire, annunciava ciò che sarebbe accaduto, più o meno, solo due decenni dopo. In Miraggi di Silicio, l’autore Massimo Pietroselli indicava uno scontro “politico” del futuro: quello tra virtualisti e sostanzialisti. Da una parte chi approvava, se non ricordo male, la realizzazione di mondi virtuali da abitare al di fuori di quelli reali e dall’altra quelli che avrebbero voluto mettere delle limitazioni nelle possibilità di rendere perfette le riproduzioni della realtà virtuale per impedire processi di estraniazione progressivi che avrebbero reso completamente dissociate le personalità. Nel libro si narra della promulgazione di norme atte a regolamentare la produzione e la fruizione degli scenari della realtà virtuale. Limitazione della possibilità di fruizione a tre ore consecutive; limitazione della possibilità di modificare, con il proprio comportamento, lo scenario della realtà virtuale; la sovrapposizione, durante la fruizione, di messaggi che facciano comprendere che siamo connessi ad una riproduzione e non stiamo vivendo una realtà reale, ma in una simulazione. Quest’ultimo punto avrebbe dovuto garantire che l’Io del fruitore sovrapponesse le informazioni dell’esperienza virtuale con i ricordi della vita reale. Pietroselli indicava anche nell’affermazione di un detto popolare il consolidamento di nuove devianze sociali. Distratto come un virtualista…, secondo l’autore, si sarebbe affermata come descrizione di una nuova forma di distanza tra ciò che si sta vivendo e la percezione dell’individuo.
Forse conquisteremo una norma della Unione Europea che, come descriveva Pietroselli, ci consentirà di mantenere un legame flebile, un tenue filo di rapporto con ciò che ci circonda. Non so se basterà a salvare la nostra psiche se non avremo il coraggio di prendere in mano la forma che l’innovazione sta prendendo e ad obbligarla ad una dimensione che rispetti il mondo per la sua interezza. Credo che questo, in ogni caso, sia uno dei compiti principali della politica del nostro tempo, una emergenza molto più grande di tante apparenti emergenze a cui il sistema dei media ci schiaccia. Uscire dal Nirvana tecnologico necessita non tanto di un rifiuto quanto di scelte di una nuova politica.
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