La qualità della quarta rivoluzione industriale è caratterizzata da una discontinuità con le rivoluzioni precedenti.
Se le rivoluzioni del vapore, dell’energia elettrica e dell’informatica erano caratterizzate da una crescente e progressiva capacità di estendere il loro dominio sul fare umano, la quarta si sta dilatando oltre ai confini della fisicità per investire, direttamente, le stesse strutture cognitive dell’umano.Stephen Hawking ci ammonisce da alcuni anni che la stessa umanità genererà, al termine di questo secolo, il proprio superamento attraverso una vera e propria discontinuità nel processo evolutivo, una rottura autoprodotta attraverso le capacità della tecno-scienza. Già Gramsci, nei suoi quaderni dal carcere, osservando i primi passi del funzionamento della nuova modalità produttiva del processo tayloristico-fordista sosteneva che la quella fabbrica era in grado di “produrre” l’uomo nuovo necessario al proprio ordine produttivo. Chissà cosa avrebbe scritto del salto della rivoluzione del web 2.0 che ha dato il via ad un nuovo capitolo della storia umana. E chissà quanti intellettuali e politici della attuale sinistra sarebbero in grado di ascoltare quelle ipotetiche parole e trasformarle in nuove e aggiornate forme di conflitto. Si nuove forme di conflitto non solo per gli obiettivi, ma per le stesse modalità di funzionamento, di svolgimento, di pratiche e finalità. Forse se prendessimo quel metodo e comprendessimo cosa significa il processo produttivo investito dal digitale, come cambiano le forme di produzione e di sfruttamento, ma anche quale forma di consenso sociale e culturale sono in grado di produrre, forse la nuova sinistra uscirebbe dall’empireo delle ipotesi e potrebbe mettere in campo le radici nuove di cui necessita. Se si analizzasse il taylorismo della vecchia fabbrica nella sua forma digitale, che si estende alle forme relazionali e sociali attraverso la grande trasformazione delle logiche della condivisione introdotte dal web 2.0, probabilmente avremmo un gradiente in più per comprendere le nuove forme delle contraddizioni del capitalismo della fase cognitiva e saremmo in grado di individuare le nuove forme di conflitto necessarie alla attuale fase politica.
Le analisi delle tendenze dello sviluppo delle società umane evidenziano come negli ultimi 4 decenni la velocità dell’incremento dei fattori strategici delle società umane sia entrata in una fase nuova. Il sistema complesso rappresentato dalla vita umana ha subito quello che in termini scientifici viene definito come una biforcazione catastrofica, una rottura dello schema precedente che rappresentava un sostanziale modello di evoluzione interna del sistema. L’umanità, con l’avvento e la vittoria delle tecnologie digitali sul modello tecnologico meccanico, è entrata in una nuova fase della sua storia.
La velocità di trasformazione delle società umane ha assunto una dimensione tale da essere essa stessa un fattore di trasformazione e di selezione dei processi. L’accelerazione, di cui si stenta a prendere atto sul piano della politica e delle istituzioni democratiche, ha assunto le caratteristiche di una vera e propria impennata esponenziale. Questa accelerazione, attivata dalla rivoluzione digitale, propone alle società umane inedite questioni che stentano ad essere riconducibili alle contraddizioni del secolo precedente i cui tratti di continuità sembrano essere più apparenti che sostanziali. Le stesse forme di accumulazione delle risorse economiche hanno assunto dimensioni impensabili all’interno degli schemi otto-novecenteschi e le composizioni del capitale, tecnica ed organica, assumono forme e tendenze inaspettate, ma non per questo meno dure.
La vera e propria biforcazione catastrofica cui la nostra civiltà è sottoposta ridescrive le forme che sono necessarie a mantenere un rapporto tra la sfera della ricerca e quella della società nel suo complesso. Il tema che ci viene consegnato dall’impetuoso sviluppo della conoscenza (oltre alla capacità diretta della produzione che assume sempre più) è quindi la distanza tra le acquisizioni scientifiche raggiunte nei vari campi e le conoscenze socialmente distribuite all’interno delle società. Mentre la conoscenza, da oltre un secolo, ha infranto muri che si chiamano relatività, meccanica quantistica, teoria del caos e della complessità, bio e nano tecnologie, le implicazioni socio-politiche stentano a diventare fattori socialmente condivisi. Muta il rapporto tra conoscenza e potere in termini sostanziali. Le stesse scelte disponibili, che potenzialmente divengono sempre più numerose proprio in virtù dell’accumulo delle conoscenze disponibili e della loro capacità combinatoria, restano indirizzate al di fuori delle capacità sociali e politiche di indirizzo proprio in virtù della distanza tra le conoscenze disponibili e quelle socialmente diffuse.
Ma è la stessa struttura della scienza a mutare in relazione al paradigma digitale. La disponibilità dei processi di simulazione spostano lo stesso metodo scientifico verso forme che si allontanano sempre più dalle forme del tradizionale metodo galileiano. Il paradigma epistemologico vira verso il modello della tecno-scienza, una nuova forma di “riduttivismo arricchito” che soddisfa gli scopi di una ricerca dedicata sempre più alle ricadute di tipo mercantilistico immediato.
Il dato politico dal quale partire è che mentre il dibattito nella sinistra si concentra sulle forme delle politiche monetarie e macroeconomiche necessarie a fronteggiare, ipoteticamente, la riduzione dei consumi necessaria al mantenimento dei livelli occupazionali (che servono alla redistribuzione della ricchezza creata attraverso il lavoro) i big della finanza si preoccupano per primi degli impatti che la quarta rivoluzione industriale produrrà a livello occupazionale.
Le parti sembrano invertirsi.
E forse non è un caso. Per la prima volta da quasi due secoli, nello scenario politico-sociale che si appresta ad affrontare un cambiamento storico di tale rilevanza, sembra essere rimasta una sola rappresentanza organizzata di classe sociale che sia consapevole delle conseguenze di ciò che è in movimento.
E questo non sembri un paradosso.
Oltre che a produrre tutti gli scenari necessari ad accumulare maggiore ricchezza, la classe dominante comincia a domandarsi cosa comporterà la trasformazione profonda degli apparati produttivi, la società dei due terzi, ma stavolta fatta da una maggioranza di esclusi anche nell’occidente ricco.
Lo stesso sistema economico sembra tendere ad autonomizzare il suo funzionamento rispetto alle ricadute sociali e ambientali che derivano dal suo funzionamento e dal suo sviluppo. E tutto sembra centrato sulle potenzialità nuove di una forma di ricerca, la tecno-scienza, che muta anche le stesse forme del paradigma scientifico.
Nel saggio descrivo il processo in atto come quello di una vera e propria costruzione di un ambiente vitale alternativo a quello “naturale”, un processo che tende a rendere marginali e ininfluenti tutti i fenomeni e le strutture che risultano essere esterne al processo stesso. Quello al quale stiamo assistendo è un processo che potremmo descrivere con il paradigma della terraformattazione, la costruzione artificiale di un ambiente allo scopo di piegarlo, al di fuori della sua naturalità, ad ospitare una forma di funzionamento della vita che sia piegato agli interessi di riproduzione di una specie a danno di altre specie e ambienti. Quello che stiamo sperimentando è un processo di “terraformattazione capitalistica” dell’intero pianeta, ove tutte le forme che risultano estranee, esterne o logicamente non assimilabili, divengono un residuo e residuali.
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