È l’inquietudine di un viaggio mai terminato quella che ha mosso i passi di David Bowie.
Un viaggio iniziato più per l’inerzia derivante dall’immobilismo altrui che per volontà soggettiva del singolo. La velocità dei nostri passi, spesso, dipende da ciò che ci circonda. D’altronde la relatività del movimento è cosa ormai entrata nel vivo delle nostre cellule da oltre un secolo. Vedere occhi immobili ai confini generati dalle limitazioni delle nostre capacità, resta l’attitudine disponibili per anime che si muovono solo per l’attrazione del consumo. Tutto è ridotto a relazione mercificata, in questo nostro impotente sguardo residuo che l’umano che sopravvive in noi rappresenta. Chiusi nel nostro super confine esistenziale, impauriti dagli sguardi altrui, ove raramente ci si apre per alcuni istanti alla possibilità di intravvedere quello che potevamo essere e non siamo, esponiamo le nostre singolarità qualunque nel gioco casuale degli incontri pensando di annegare le nostre ore a disposizione alla ricerca di piacere o felicità istantanee con l’illusione che la vita sia tutta lì. Istante dopo istante, saltellando, come lucciole cadenti, da una meteora all’altra non ci accorgiamo che la superficie dell’impatto si avvicina disperatamente e inesorabilmente. Il vero significato del “qui ed ora” non è nella non curanza di ciò che è stato o che sarà – perchè fuori dalla possibilità materiale del momento – ma è racchiuso nella capacità visionaria di comprendere nell’istante ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà. Una possibilità di visione fine che trascende dal bruto dato e trasla verso la poesia della vita. Poesia della vita, proprio quello che in grande fa nostra madre natura: un progetto tanto complesso da sfuggire alla comprensione dei nostri occhi.
Ognuno di noi affronta il programma del suo sistema di cellule organizzato con la propria ispirazione e gioca sul tavolo che vuole la capacità progettuale del proprio apparato vivente. Può negarsi uno sguardo lungo, come un miope dell’anima e del cuore, con il respiro asfittico e incerto, oppure aprirsi alla capacità di guardare oltre quei confini nei quali vorrebbero rin/chiuderlo. David Bowie appoggiava il suo passo sempre un centimetro oltre ciò che era stato destinato come disponibile al passo della norma, anche di quella anticonformista, di moda e in voga nel singolo istante. Peggio della “normalità” è il conformismo dell’anticonformismo, perché rende stabile la norma attraverso la propria normale e scontata alterità.
In questi giorni gli scienziati ci hanno comunicato la scoperta di un vento tra gli spazi galattici che condizionerebbe la creazione delle stelle. Atomi di una essenza che spinge a creare o meno la luce di un nuovo sole. Ah, quanta “magia” esiste nell’universo solo a volerla vedere… chissà cosa avresti pensato di questa natura delle stelle…
Ho aspettato alcuni giorni per digerire la tua morte e dire a me stesso ciò che le mie cellule mi comunicavano ad ondate successive. Rottura e norma, rottura e norma. Come una deriva senza timone che ti rende libero perché ti nega la possibilità di intervento. Dovrei tenere per me le mie emozioni, afone di senso e racchiudere in un hard disk dell’anima le vibrazioni che mi hai regalato. Ma tu non ti sei mai risparmiato e meriti almeno un frammento, un piccolo riflesso della luce che mi hai regalato.
Grazie per esserci stato, David Bowie.
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