In questi giorni abbiamo assistito a due fenomeni che attengono entrambi al passaggio di ridefinizione del settore digitale.
Da un lato tutte le principali strutture che poggiano i loro profitti sullo sfruttamento del “Lavoro Implicito” hanno annunciato tagli drastici alla loro occupazione in risposta a risultati dei bilanci. Il 2022, dopo i fasti della fase pandemica, rappresenta una decisa contrazione delle loro entrate.
Dall’altra parte il fallimento FXT, tra le principali piattaforme di trading sulle criptovalute.
Mentre quest’ultima crisi poggia sul tradizionale inganno dei sistemi a catena finanziaria, che utilizza i soldi dei nuovi sottoscrittori per garantire interessi in un gioco al rialzo progressivo delle necessità di liquidità che porta al crollo del sistema (ricordate il 2008, la vicenda L&B e i crediti deteriorati? Beh, lo stesso riprodotto sulle criptovalute…) la crisi delle piattaforme (e la loro velocità e profondità) è frutto di scontri “industriali” e di movimenti profondi che attraversano il mondo digitale.
In questi ultimi anni il tema della privacy e la gestione dei dati prodotti dalle nostre attività “social” sono stati al centro sia di un rinnovato interesse e allarme sul piano sociale sia di interventi di gestione “pubblica”, in special modo da parte dell’Europa con i suoi nuovi regolamenti. Il tema è stato preso in carico dalla principale azienda del settore, la Apple, con la costruzione di un sistema operativo, l’IOS 16, che consente di bloccare (in parte) i flussi di condivisione dei dati. Anche questo piccolo argine ha messo in subbuglio l’intero impianto del sistema di profilazione e generato ripercussioni sull’intera filiera produttiva.
È arrivato il tempo di aprire la discussione su di un nuovo modello di business che dovrà sottostare ai servizi digitali, alle piattaforme e alle nostre libertà digitali.
Se non ora, quando?
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