Sarebbe interessante aprire un confronto pubblico proprio in vista delle prossime elezioni su come si costruisce il senso comune su cui si genera il consenso politico.
Secondo voi perché nella rappresentazione giornalistica (e poi nell’immaginario collettivo si sedimenta una percezione):
- La sinistra viene definita, ormai, sempre come “estremista” o “radicale”;
- Le forze di centro (che difendono gli interessi di una specifica parte sociale “garantita” in maniera intransigente, spesso arrogante e si alleano da sempre con le forze di destra che alludono al Fascismo…) si auto definiscono (senza contraddittorio) “moderate” e così vengono rappresentate;
- Le destre che si ispirano (ormai in maniera sempre più coperta perché sono sulla soglia di una vittoria inaspettata) al Fascismo (o alludono ad esso, lo richiamano nei comportamenti e nelle scelte) vengono chiamate semplicemente “destra”.
Sarebbe opportuna una revisione del linguaggio e una ridefinizione delle categorie o, almeno, una giustificazione di un tale uso.
Abbiamo fior fiori di intellettuali, mass mediologi, responsabili della comunicazione dei partiti, ecc… che potrebbero/dovrebbero aprire un dibattito/confronto su un uso delle parole nei telegiornali e nell’informazione e ripristinare una “rappresentazione costituzionale” della comunicazione politica.
Intanto sarebbe opportuno che i rappresentanti delle forze politiche di sinistra rifiutassero sempre ed esplicitamente la categoria di estremo/estrema… prima di parlare di ogni cosa dicendo in apertura di ogni intervista: “Basta definirci estremisti o radicali! ma quale estremismo c’è nelle nostre proposte che spesso non vanno oltre il buonsenso del funzionamento di questo modello economico-sociale?”
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