Inforcare contemporaneamente la moto e una delle sue pipe. Sergio Spina era questa naturalezza. La stessa che dispiegava al mondo quando, attraversandolo, sembrava ignorarlo nel continuare la sua lettura su marciapiedi e strade. Sergio è stato un uomo di questo mondo, per questo mondo. Sapeva sbirciare, dietro le quinte degli accadimenti, con lo sguardo di chi sa moltiplicare i piani di lettura, ma solo per semplificare il racconto svelandone i segreti, i misteri, le bugie. Era un regista nel senso più profondo del termine. Non quello che semplicemente sa come gestire una ripresa, tradurre una sceneggiatura in una azione filmica; Spina sapeva osservare le cose e darne una interpretazione comprensibile. E quella interpretazione era sempre di parte, ma mai piegata a fini personali. Era un racconto schierato e libero, come il suo cuore, quello che usciva dalle sue immagini, dalle sue righe, dalle sue parole. Un racconto che era un pezzo stesso della sua vita, mai un prodotto, una merce. So che può sembrare strano, agli occhi odierni, ma le sue cose avevano un “senso” di marcia, quello che Prigogine definì come “la freccia del tempo”, un’osservazione dello scorrere dei fenomeni con la consapevolezza che la loro evoluzione temporale non avrebbe mai potuto essere ricondotta al loro stato iniziale. Solo questa profonda consapevolezza poteva consentire l’emersione della “nostalgia” per qualcosa di importante che si era dissolto. E di questa profonda nostalgia Spina era intriso, con la lucida consapevolezza che nessun accadimento avrebbe potuto infrangere la sua pulsione verso la ricerca della giustizia tra gli umani.
Per questo Sergio Spina era un intellettuale fino al midollo. Anche di fronte alla preparazione di un piatto di pasta o di un buon bicchiere di vino. In quel suo sguardo si intravvedeva curiosità, candore e consapevolezza, cose che sapeva distribuire a piene mani. Difficile parlare di lui, difficile trovare parole per raccontarlo. A me ne viene solo una: Sergio Spina era un comunista.
A Sergio.
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