Respiro

Macchine, cemento e…. Respiro

“Non mi aspettavo di ritrovarmi a vivere nel futuro, ma sono fottutamente qui”.

 

L’arroganza di una specie può portare alla sua cecità. Passano i giorni e i fatti che ci circondano, le informazioni che arrivano alla nostra sfera sensoriale, sembrano talmente irreali e disconnesse da impedire  una connessione di senso. Il flusso di informazioni, che vorrebbe renderci permanentemente connessi alla realtà in evoluzione, sfugge alla costruzione di coerenze di senso delle informazioni a disposizione, forse per restare fedele alla struttura sistemica dalla quale è scaturito e dal quale si foraggia: la società del consumo.

Eppure è tutto sotto i nostri occhi, tutto a disposizione a volerlo connettere.

Prendiamo alcuni frammenti che ci vengono consegnati senza le obbligate connessioni.

Respiriamo l’aria ma non è più quella dei nostri avi e mai più lo sarà in tempi storici. No non sto parlando dell’inquinamento al quale ci sottoponiamo (e sottoponiamo tutta la sfera del vivente) per consentirci di avere non le merci che servono a vivere, ma la sovrapproduzione obbligata da questo ciclo economico. Non sto dicendo della presenza dell’inquinamento delle automobili, di quello delle industrie, di quello delle discariche o per la distruzione dei boschi e delle foreste. O meno che mai per la riduzione dei profumi naturali del vivente che dispiega la propria energia nell’affermare il diritto a vivere, quel gusto che in alcuni pochi posti antichi ancora emerge a fatica e che, quando i nostri polmoni lo incontrano, fa riemergere antiche percezioni sensoriali. Parlo dell’annuncio della NASA che l’attività umana ha fatto giungere la percentuale di anidride carbonica ad un livello che comporterà conseguenze imprevedibili sull’evoluzione della vita nel pianeta. 400 parti per milione ci dicono gli scienziati. Scopriamo, in articoletti da pagine secondarie, che tutti noi (con il modello di vita che facciamo) abbiamo stabilmente cambiato la composizione dei gas che compongono l’aria regalandoci un mix che nessun umano aveva mai respirato prima. E questo ha portato ad un innalzamento irrimediabile delle temperature (altro che accordo di Parigi), con le conseguenti trasformazioni climatiche e l’inevitabile scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari. Altro che il dibattito sugli attuali flussi migratori di qualche centinaia di migliaia di persone dal Sud al Nord del mondo: nei prossimi decenni dalle coste del mondo intere megalopoli potrebbero dover spostare 4-5 miliardi di persone verso gli interni.

Ma cosa comporta questo dato? La sintesi di alcuni scienziati chiamati a commentare il dato è stringente: estinzione della specie.

Come se non bastasse, infatti, di estinzione della vita sul pianeta parla un altro rapporto uscito in questi giorni. Per quanto di parte, un rapporto del WWF ha annunciato l’estinzione del 67% delle specie animali entro il 2020! Un disastro che preannuncia la stessa impossibilità della specie umana di sopravvivere a se stessa in tempi “politici”, non storici.

Berlusconi pensava di trasformare una comunità di uomini e di donne, un paese, una nazione, in una sommatoria di reparti aziendali. La logica aziendale sopra la dimensione umana, sopra la complessità della vita. Tutti l’abbiamo condannato per la sua miopia, ma poco facciamo per vedere la miopia che ci riguarda. L’umanità pensa di poter trasformare l’intero pianeta, il mondo,  nel proprio giardino, nella sua fattoria ove mette sotto controllo tutte le dinamiche, tutti i viventi, tutti i cicli di vita. E pensiamo di farlo neanche con un progetto “unitario”, con una programmazione attenta, ma con la sommatoria degli egoismo soggettivi e collettivi di cui siamo capaci. Entrambe sono illusioni che portano alla morte. La prima di una comunità, la seconda della specie umana e della vita sul pianeta.

E questo “capolavoro” lo abbiamo consegnato ai nostri figli, ai nostri nipoti, a tutti i viventi del pianeta per un tempo che ancora non è calcolabile e che, per quanto ci riguarda, possiamo considerare definitivo. Ed è a questo quadro che si sommano le crisi “economiche”, “sociali” e della “rappresentanza” di cui amiamo parlare per ore e ore ignorando il background spaventoso che abbiamo creato e che continuiamo a sostenere.

È a questi fenomeni, infatti, che possiamo aggiungere l’arrivo a valanga dei processi di automazione spinta che cancelleranno la forma del lavoro così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, la fine dei processi democratici capaci di tenere i flussi delle decisioni sotto la trasparenza delle procedure istituzionali, la perdita di senso del fare generale, delle finalità stesse della vita, di una comunità, di un popolo, della stessa umanità, che attanagliano gli individui e che cercano risposte “altre” anche senza “gruppi dirigenti” che sappiano indicare una via di uscita.

Che altro senso ha l’affermazione di Trump, a prescindere da una sua vittoria tecnica o meno? È lo smarrimento del senso collettivo che spinge a ricercare la risposta più semplificata: “devo salvarmi io e devo pensarci da solo perché tanto nessuno può pensarci”. Brexit, Trump, Le Pen, sono tentativi di rispondere ad una incertezza alla quale si può rispondere solo ponendosi all’altezza delle capacità e delle conoscenze che abbiamo raggiunto, per ridisegnare l’intero palazzo nel quale stiamo vivendo, iniziando a rispettare non la valorizzazione del capitale, ma quella della vita.

Non è vero che non possiamo nulla e che il destino è segnato, ma dipende da noi dalla intelligenza che vorremmo applicare alle cose che facciamo, alle scelte che facciamo. non possiamo lasciar tutto all’improvvisazione o alle mode transitorie.

Eppure non facciamo nulla o poco, nessuno si muove realmente, la politica politicante discute di Renzi si o Renzi no come discuteva di Berlusconi si o Berlusconi no, ma senza il coraggio di costruire il filo rosso della narrazione necessaria a comprendere l’immensità delle cose che ci aspettano.

Usciamo fuori da questi schemi prima che sia definitivamente tardi. Facciamo un bel respiro, per quel che possiamo!

 

 


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