Caro Edoardo,
i confini sono stati per millenni i luoghi di contatto. Paradossalmente, nella storia, erano quelli i luoghi del confronto e dello scambio. Luoghi vissuti e pensati come l’uscita da e l’ingresso in. Un elemento di transizione ricercato e temuto. Il luogo ove si poteva osservare il passaggio da uno schema all’altro, da una realtà “ufficiale” e “naturale” ad un’altra realtà anch’essa “ufficiale” e “naturale”. Ma diversa. Erano territori sì, ma, in realtà, erano “mondi” diversi. Non credo che ci sia rifugio nei territori della globalità. Essi sono omologati in nuce, devastati dal crollo delle dinamiche sociali che ne differenziavano interessi, culture, aspettative, finalità, storie. Oggi tutto è mosso “dall’industria di senso”, una apparato planetario che avvolge menti e cuori, obbliga alle aspettative e i modelli di vita delle “singolarità qualunque” che camminano sulla superficie di un pianeta che mantiene le nazioni e i popoli più per l’inerzia di una facilitazione di controllo politico-sociale che per indipendenze e autonomie nazionali. Non esiste più popolo o nazione che possano sfuggire alla codifica degli interessi che avvolgono il pianeta come una ragnatela. E il web ha fatto la sua parte nella costruzione di tale filacciosa e melmosa situazione.
Ma anche il diavolo più capace riesce a fare le pentole… ma non i coperchi!
Proprio la fase più alta dei processi di controllo, quella del messa a punto della società dei social, il modello 2.0 della rete globale, si fonda sulla “obbligata” partecipazione dal basso, quella della volontaria condivisione delle persone. Qui si ri/apre una questione importante e, forse, decisiva: sviluppare la consapevolezza che sa mettere gli individui insieme non per essere folla ma per diventare una struttura sociale partecipata e consapevole. Lo avevano capito nell’Ottocento e si erano dati come obiettivo quello di costruire le forme dell’organizzazione umana che ridava autonomia agli individui che venivano trasformati in folla. E c’erano anche riusciti, ma non avevano compreso la qualità nuova dei mezzi di comunicazione di massa e, in pochi decenni, la battaglia virò decisamente a favore dei grandi poteri economici-finanziari-mediatici.
Ora la partita si riapre. A patto che le persone comprendano quale sia lo scopo della loro vita: scegliere se essere dei meri consumatori – che vivono con l’unico scopo di essere delle rotelle del meccanismo economico – o tornare ad essere degli individui che sanno osservare i confini.
In primo luogo quelli del loro cuore.
Lascia un commento