La colpevole inconsapevolezza dei molti e la consapevole violenza di alcuni

Prima di partire avevo deciso che non avrei parlato di atti di violenza se ci fossero stati. Non avrei voluto essere complice di una operazione di depistaggio. L’ennesima a cui assisto da tanto tempo ma che da Genova 2001 in poi ha assunto uno schema fisso, immutabile, stucchevole. Non avrei accettato per l’ennesima volta di sentirmi in colpa per atti che sono lontanissimi sia dalla mia personale sensibilità, sia dalle motivazioni di decine e decine e di migliaia di persone che hanno il coraggio di mettere la loro faccia, il loro tempo, le loro energie e i loro soldi per lanciare grida di allarme sul destino del pianeta, della umanità,  delle persone più deboli. Ho provato a documentare la ricchezza delle loro parole, dei loro sguardi, della loro energia. Questo ero venuto a fare, questo ho provato a fare. Nessuno spazio al nero, all’oscurità, alla violenza esibita come un elemento integrante della più grande violenza che genera il sistema nel quale viviamo. Sul piano della violenza, non c’è mai vittoria, soprattutto oggi quando la violenza è così organizzata scientificamente.
Qualcosa dopo la giornata di ieri, però, dobbiamo cominciare a dire. Il tema delle garanzie per chi manifesta deve essere preso in carico dallo Stato e dai movimenti che organizzano. Lo stato non può continuare a lasciar fare i violenti quando ha deciso di voler denigrare una manifestazione che ritiene non organica alla propria maggioranza politica. I movimenti non possono più far finta che il tema dei violenti non sia un tema da affrontare e lasciarlo andare per il proprio destino. Ne va della possibilità di estendere la partecipazione democratica e la stessa finalità del fare politica: costruire il consenso intorno ad un “senso” altro rispetto all’esistente. Non possiamo più distruggere la possibilità di cambiare per non avere il coraggio di affrontare chi sta minando la stessa possibilità di continuare a manifestare. Dobbiamo uscire dalla morsa nella quale vorrebbero gettarsi. Quello spazio compreso tra la colpevole inconsapevolezza dei molti e la consapevole violenza di alcuni. La vita ha bisogno della consapevole capacità di essere “con” e “per” gli altri.
Per questo ieri eravamo in piazza. Per questo vogliamo tornarci, per convincere.


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