Cybersicurezza e modello di sviluppo

La sicurezza e la libertà di oggi passano per le garanzie della rete. Questa affermazione che fino a qualche tempo fa poteva essere ascoltata solo in qualche assemblea di web-attivisti, oggi diviene uno degli assunti della politica. Anche Obama ne ha fatto uno dei punti della sua agenda. Anche il nostro paese, uno degli ultimi tra i paesi industrializzati, approva un decreto con il quale dotarsi di una infrastruttura di sicurezza cibernetica. Questa volontà, però, sembra più un semplice adeguamento alle richieste che derivano dalle direttive europee che una scelta di consapevolezza. Il terreno della “difesa” della rete, infatti, è strettamente legato al terreno delle nuove libertà digitali. Controllo, sorveglianza, furti di identità, sono alcuni dei fenomeni legati all’impetuoso sviluppo delle tecnologie digitali.

Ovviamente il punto non è solo quello della semplice libertà di espressione. Oggi, tutti i servizi sono affidati alla gestione di software e protocolli di rete. Questo significa, in altre parole, che un cyberattacco può bloccare, ad esempio, il funzionamento del sistema idrico e mettere in ginocchio una città. La gestione della sicurezza informatica, quindi, attraversa il mondo fisico molto più di quanto la pubblica opinione sia messa in condizione di comprendere.

La stessa SEC, l’Autorità di controllo del mercato negli Usa, ha decso nello scorso ottobre di obbligare le aziende quotate a rendere pubblici gli attacchi informatici. Un elemento non secondario, secondo la SEC, per comprendere l’affidabilità della stessa azineda.

Il passaggio, quindi, è di estrema rilevanza. Per questo sarebbe stato necessario uno slancio diverso. L’Europa aveva una occasione importante: quella di fare un primo atto unitario e di sviluppare una politica per la sicurezza di nuova generazione. In queste settimane, infatti, per altri interessi e per motivazioni puramente commerciali, si è avanzata la possibilità che il vecchio continente si dotasse di una nuova infrastruttura di rete di telecomunicazioni a livello europeo, superando le logiche nazionalistiche e consentendo all’Europa di fare un salto nella nuova banda ultralarga, una delle nuove pre-condizioni per un nuovo modello di sviluppo. Una prima occasione era proprio quella di dotare il vecchio continente di un luogo di sicurezza unitario, più facilmente analizzabile in trasparenza e controllabile democraticamente. Le reti, oramai, tendono a travalicare anche fisicamente i confini dei singoli Stati e potremmo trovarci con attività di controllo che estendono la loro capacità di intervento fuori dalla loro giurisdizioni e non sempre per caso o per l’interesse comune.

L’Europa doveva battere un colpo. Doveva approfittare di questa emergenza per dotarsi i una prima vera infrastruttura unica e rendere trasparente e intellegibile l’operato in un settore così delicato per la stessa forma delle libertà. Doveva evitare la moltiplicazione di infrastrutture nazionali che saranno obbligate a interagire moltiplicando le risorse necessarie al proprio funzionamento e rendendo più opaca l’osservazione delle azioni di una miriade di soggetti autorizzati.

Ultimo, ma non per importanza, è che tale scelta avrebbe potuto essere utilizzata come un fattore di sviluppo, in sintonia con quello che Obama si appresta a fare dall’altra parte dell’Atlantico.


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