Fin dal 1993 molti osservatori segnalarono che i limiti imposti dal sistema delle leggi italiane non erano sufficienti ad impedire che la concentrazione di interessi in una sola persona potesse diventare una anomalia democratica. L’annuncio che il presidente del principale gruppo editoriale italiano, con una concentrazione nel sistema radiotelevisivo unico al mondo, scendesse in politica aveva allarmato i più attenti.
Neanche il “Testo Unico delle Leggi Elettorali, d.p.r n° 361” scritto il 30 marzo 1957, modificato nel 2005 ma ancora in vigore nel suo articolo 10 (quello delle ineleggibilità) poté fermare la esplicitazione che le attuali democrazia sono nude di fronte alla concentrazione di interessi privati e pubblici. L’ articolo 10 della nostra legge dice che “non sono eleggibili inoltre: 1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta; 2) i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato; 3) i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera loro alle persone, società e imprese di cui ai nn. 1 e 2, vincolate allo Stato nei modi di cui sopra”.
Tanta acqua è passata sotto i ponti della storia del nostro paese. Quello che fu chiamato il “conflitto di interessi” è diventato un tormentone italiano che molti hanno pensato di risolvere solo attraverso norme che riguardassero Silvio Berlusconi. Invece la questione è molto più complessa. La concentrazione di ricchezza e di potere economico che sta investendo tutto il mondo occidentale pone una questione generale di compatibilità tra le sfere economiche e politiche. Ovvio che la concentrazione di potere economico-mediatico risulta ancor più devastante per gli equilibri di una società avanzata, ma il tema è generale e non può essere circoscritto ad personam. Soprattutto oggi che il Cavaliere di Arcore appare ormai un elemento residuale anche all’interno del centro-destra.
La legge sul conflitto di interessi deve rimettere al centro un equilibrio rotto tra dimensione economica (interesse particolare, privato) e dimensione politica (interesse generale, pubblico). È la questione sollevata dal referendum sull’acqua. È un’idea di politica, di società, di convivenza e mobilità sociale. Rompere i conflitti di interesse esistenti, significa far entrare aria nuova, ridare speranza contro le logiche di raccomandazione, favori, scambi che stanno uccidendo il nostro futuro. Allora serve una legge generale, che impedisca la creazione di bolle di potere autoreferenziali e tanto potenti da impedire alla forza della democrazia di governare nell’interesse generale. Questa legge deve valere a partire dai territori e arrivare fino ai livelli più alti della rappresentanza. Occorre una nuova normativa che rompa le attuali coincidenze di interesse esistenti e ne impedisca la creazione di nuove.
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