DAL LAVORO COME DIRITTO AL LAVORO COME OPTIONAL.

Con il patrocinio di

Associazione Culturale DEMOTE – Democrazia Movimento Tecnologia Europa

Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione “Roberto Rossellini” – CINE TV

Istituto Montecelio

Facoltà di Scienze della Comunicazione – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Laboratorio sul Lavoro e l’Impresa – LAB. LAV – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

CONVEGNO

DAL LAVORO COME DIRITTO AL LAVORO COME OPTIONAL.

Le prospettive del settore audiovisivo

Venerdì 17 e sabato 18 Marzo 2006

CENTRO CONGRESSI – FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE

VIA SALARIA 113 – 00198 ROMA

 

Intervento di Sergio Bellucci:

 

Il contributo che vorrei portare è quello di produrre uno scarto: abbiamo bisogno di rompere processi che sono in atto da qualche anno. L’intervento di Pietro Lucisano (riguardo il ruolo dei giovani in relazione alla attuale situazione del mondo del lavoro, ndr) mi convince molto; il problema è che forse dovrebbero essere i giovani a dire queste cose a noi, che abbiamo qualche anno in più. Chi ha vent’anni dovrebbe dirci: “Ma che ci avete combinato, cosa ci avete costruito?” e forse poi anche andare in piazza, come hanno fatto i francesi. La situazione in Italia è ancora drammaticamente arretrata, perché siamo noi a dire loro: “Guardate che se non vi muovete…”. Ma, detto questo, noi dobbiamo produrre uno scarto e dobbiamo pensarlo, credo che questo sia il compio di strutture come l’università, le aziende interessate, le strutture associative, i movimenti, la politica, perché il nostro Paese non ha di fronte a sé tante chance di agganciare una ipotesi di modello di sviluppo nuovo. E quando dico “nuovo”, intendo a 360 gradi, nel senso del “cosa” si fa e del “come” si fa. Non abbiamo tantissimo tempo, perché la struttura produttiva del nostro Paese e è arrivata al limite di vera e propria sopravvivenza, e allora in ogni segmento bisogna produrre lo scarto che è producibile, analizzando le condizioni tecniche di sviluppo della fase e provando ad immettere qualche elemento di rottura: ad esempio, nel campo dell’audiovisivo si stanno producendo fenomeni chiarissimi ai quali la politica, le imprese, le istituzioni formative sembrano non guardare con l’attenzione necessaria a governare questi processi. Faccio un esempio per farmi capire: a giugno nel nostro Paese saranno commercializzati video-telefonini in grado di ricevere film e contenuti audiovisivi a larga banda; ora, questo sembra semplicemente un annuncio di marketing – avremo questa cosa, la vediamo, ho i soldi la compro, non ho i soldi non la compro – ma questa cosa ridisegnerà tutte le filiere produttive che fino a ieri erano affidate a segmenti separati anche dal punto di vista normativo. Televisioni, telecomunicazioni, informatica, strutture professionali, contratti di lavoro: questa cosa ridisegnerà tutto. E lo dico perché ad esempio stamattina so che i giornalisti sono riuniti per decidere un’eventuale mobilitazione contro la FIEG che continua a pensare al modello produttivo italiano secondo un processo di precarizzazione: come si fa a fare i giornali? Cosa sono diventati i giornali e i telegiornali e le strutture informative? Questi mezzi per comunicare idee, strumenti di servizio, oggi servono a raggiungere la persona che è venduta sul mercato della pubblicità. E allora, se è questo, non importa nulla di come è scritto il pezzo, l’importante è che la pagina sia piena, che il titolo sia efficace, perché tanto il pezzo lo leggono pochissime persone; però io lì sopra ci posso mettere la pubblicità, perché ho riempito la pagina… Se questo sono diventati i mezzi di comunicazione di massa, soprattutto nel nostro Paese, allora dobbiamo capire il perché di questa tendenza, quale è stata la dimensione del mercato, cosa ha prodotto anche come rottura delle conoscenze e delle strutture sociali relative al funzionamento dei mass media. E credo anche che questo fenomeno non sia neutro per la storia dei mass media che abbiamo vissuto da noi: non a caso, è avvenuto nel nostro Paese perché qui si sono sviluppati alcuni modelli, hanno vinto alcune idee dell’industria audiovisiva e si sono sviluppati alcuni aspetti. Ora: i presenti appartengonoa una generazione che è nata con il telefonino, e quindi è abbastanza abituata a pensarlo come un oggetto normale: c’è, serve per comunicare, per fare delle cose, è un oggetto come un altro. Noi abbiamo vissuto un periodo della vita in cui questa cosa non esisteva e gli spazi di libertà erano totalmente altri – meglio o peggio è così, ognuno darà un suo giudizio. Domani mattina inizierà una nuova era nella quale la divisione delle reti così come l’abbiamo pensata, cioè accendo la televisione e vedo la televisione, accendo il PC e vado sul cavo, faccio la telefonata ecc., sarà probabilmente archiviata e nascerà una generazione che vivrà questa unificazione come un fatto normale, mentre per voi non sarà normale per tutto il resto della vita, perché siete stati formati su questa divisione. E’ un problema che dobbiamo porci? Secondo me sì, ce lo dobbiamo porre in termini di strutture produttive, normative e formative, in termini di professioni, e lo dobbiamo fare, perché se noi non ci poniamo a quest’altezza il nostro Paese sarà quello che si sta consolidando da qualche anno, e probabilmente sarà da giugno, visto che il governo che abbiamo avuto fino ad oggi non ha trattato e contrattato il ruolo del nostro Paese. Siamo il più grande mercato del mondo in termini di penetrazione della telefonia mobile, abbiamo il 108 % di penetrazione della telefonia: significa che abbiamo un telefono e qualche cosa per uno. Non c’è paese al mondo che ha questo tasso di penetrazione, siamo il più grande laboratorio per la comunicazione mobile del mondo. Vengono qui a sperimentare, dalla Samsung alla Nokia, i modelli, i software, le modalità, siamo tutti cavie: quando utilizziamo le nostre tecnologie stiamo in realtà dando gli input all’industria, che migliora i prodotti e li piazza sul pianeta, dicendo “ funziona in Italia, funziona dappertutto”. Ma questo è il nostro ruolo nella ricerca, essere cavie? Io credo che un governo dovrebbe per primo dire “no, alt, fermi, noi siamo questo mercato, questa capacità di penetrazione di determinate tecnologie: la ricerca si fa qui, si fa da noi con le nostre teste, le nostre intelligenze, si contrattano qui le forme”. Se noi non facciamo questo, non rompiamo lo schema, hai voglia a parlare poi delle modificazioni dei lavori, eccetera. Mi è arrivato l’altro ieri l’allarme di alcuni dipendenti della Rai: “Attenzione la Rai si sta digitalizzando”, e uno si chiede: “Ma come, si sta digitalizzando e vi preoccupate?”. Sì, ma il problema è che si sta digitalizzando acquistando (e qui brutalizzo) gli scarti di magazzino delle industrie che producono tecnologie digitali, perché sta acquistando le macchine non in alta definizione digitale, ma della generazione precedente: siccome sappiamo tutti che da settembre arriveranno i flussi per spingerci a migrare verso la televisione ad alta definizione, le industrie nel mondo si stanno svuotando e dicono “a chi li facciamo comprare? alla Rai!”.

E’ questo ciò che noi dobbiamo fare in termini di innovazione? Io credo di no. E allora qui bisogna produrre un salto, io credo che il convegno debba produrre questo risultato: che cosa fanno i vari soggetti che sono interessati ad immettere questa rottura, questa discontinuità, per produrre un salto di qualità in termini di consapevolezza, ma anche di progetto? E cioè che cosa facciamo per adeguare le nostre aziende, la nostra formazione dei giovani, per renderci all’altezza di questo scontro e produrre la rottura e chiedere alla politica di produrre questa rottura? Se la giornata odierna riesce a fare questo, credo che abbiamo fatto un buon lavoro.

 


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