Nel quadro di Eurovisioni XIX (23-26 ottobre 2005) |
Il futuro del servizio pubblico: la nuova carta della BBC |
lunedì 17 ottobre 2005 |
Parlamento Italiano – Palazzo Marini – Sala Conferenze via del Pozzetto,158 |
Intervento di Sergio Bellucci
Dopo la vasta partecipazione popolare alle primarie, credo si possa dire che il Paese attende un grande cambiamento, e le trasformazioni inerenti al sistema della comunicazione sono una grande cartina di tornasole della trasformazione necessaria e attesa dal corpo sociale.
Io credo che noi dobbiamo rompere con uno scherma di dibattito politico e culturale che ormai abbiamo alle spalle e che però stentiamo di lasciare definitivamente via, per aprire una nuova stagione.
Io definisco questa stagione quella della costruzione del welfare nel campo della comunicazione.
Perché tutte le innovazioni tecnologiche di cui si è accennato questa mattina, e anche le ipotesi di trasformazione degli assetti del comparto della comunicazione, alludono proprio a un nuovo diritto, ad una nuova sfera di diritti complessivi e sociali, dal singolo individuo alle collettività organizzate, che sono uno degli elementi di trasformazione e innovazione profonda di cui non possiamo negarci il bisogno.
Quando si allude alla necessità di nuove voci, a cui bisogna dare corpo e vita e possibilità, non stiamo semplicemente parlando – e pure sarebbe sufficiente – della necessità di un pluralismo reale dentro i corpi delle nostre società; stiamo alludendo e parlando di una innovazione necessaria nelle società contemporanee.
Oggi l’innovazione si può realizzare anche nel sistema industriale e produttivo, a patto che tutta quella produzione di contenuti di senso, di valore comunicativo, non sia marginalizzata ed esclusa dai processi produttivi.
I teorici della complessità ci parlano dell’esistenza di ciò che hanno definito il “margine del caos”: quel limbo, quel territorio stretto schiacciato tra il caos e l’ordine – ci dicono – nel quale emergono i fattori di innovazione, dove pullula la vita.
Se si va verso il territorio della staticità c’è l’impoverimento e l’ingessamento della società. Se si va verso il territorio del caos c’è un luogo di non-governo e incapacità di mettere a rendere a valore i fattori emergenti.
Quel “margine del caos” è il welfare che noi dobbiamo costruire, cioè la possibilità che i fattori emergenti si producano e avanzino eliminando i gap sociali, che impediscono oggi i flussi comunicativi che domani diventano valori e sistemi produttivi.
Per questo, si tratta di un interesse complessivo della società, non semplicemente della garanzia ad alcuni elementi marginali del corpo sociale a cui bisogna dare, purtroppo, un po’ di diritto a comunicare mentre si fa l’impianto della comunicazione, quella ufficiale. E’ una necessità del futuro. E per fare questo occorre costruire un salto di qualità.
Vedo con contentezza che siamo usciti, in molte componenti dell’Unione, da quella strettoia rappresentata dalla necessità di privatizzare la Rai come elemento di innovazione del sistema.
La battaglia che abbiamo fatto in questi anni per dire che in realtà dalla privatizzazione della Rai non sarebbe uscito nulla, né di innovativo né di rottura degli equilibri, oggi è a disposizione della comunità nazionale per poter riprogettare una politica nel campo comunicativo.
Certo la definizione di un bene pubblico ha bisogno di qualche linea di tendenza chiara, qualche indicazione strategica sulla quale camminare. E io credo che lo sforzo che dobbiamo porre qui non sia semplicemente quello di ridefinire la Rai.
La comunicazione come bene pubblico parte dalla centralità del servizio pubblico ma ha bisogno di qualche cosa di più, intorno. Il servizio pubblico deve recuperare una autonomia. Io credo che per individuare i criteri ispiratori con i quali eleggere il Consiglio di Amministrazione della Rai basti far riferimento semplicemente alla nostra Carta Costituente. Lì dove la Costituzione definisce lo spazio pubblico di intervento dei servizi pubblici, definisce anche delle norme che nel nostro Paese non sono quasi mai state applicate. La Costituzione indica che i servizi pubblici li possono fare quattro soggetti: io dico, forse tutti e quattro insieme. Ma noi ne abbiamo sperimentati solo due, in questi anni della nostra Repubblica. La Costituzione dice che il servizio pubblico lo possono fare lo Stato, gli Enti locali, i lavoratori che fanno quel servizio, gli utenti che sono in qualche modo i soggetti interessati a quel servizio.
Credo che noi dobbiamo individuare nella Carta il nostro valore ispiratore e costruire lì il mix necessario per sperimentare una nuova forma di autonomia. Il servizio pubblico significa produzione di contenuti, l’aumento della disponibilità delle reti, la distribuzione in maniera più strategica delle risorse. In questo sistema non ci sono soltanto i tremila miliardi delle vecchie Lire (Bonolis direbbe “vecchio conio”) del canone, ci sono 1.500 o forse 1.800 miliardi che la collettività nazionale dà all’industria della comunicazione (carta stampata, periodici e così via) che sono ad altissimo fattore di concentrazione e utilizzati non per le trasformazioni di cui avrebbe bisogno, di quelle trasformazioni che puntano verso la multimedialità dei gruppi, ma semplicemente per tenere in piedi i bilanci e distribuire dividenti.
Qui è uno dei noccioli: la riprogettazione di questa sfera di 4.500-5.000 miliardi di lire deve essere il nodo centrale dal quale partire per ripensare un sistema di garanzie, e quello che appunto chiamo il “welfare della comunicazione”.
E allora sì, servizio pubblico e canone: bisogna progettare anche un lavoro sulla possibilità di aumentare questa quota di risorse, ma è chiaro legandola ad un salto di qualità dei contenuti. Perché quello dei contenuti è un tema che ormai nel nostro Paese è diventato una emergenza. L’appiattimento, l’omologazione dei palinsesti e il gioco della loro programmazione uno sull’altro, schiacciati, sta producendo ormai un allontanamento dal consumo televisivo preoccupante. E io ritengo che il problema dei contenuti sia legato al lavoro buono che si può produrre dentro l’azienda. I processi di precarizzazione del lavoro all’interno della sfera pubblica sono uno degli elementi di abbassamento della qualità e delle garanzie e di autonomia dei soggetti.
Basterebbe raccontare quello che accade dentro le redazioni in forma di autocensura, per una quantità di precariato che ha bisogno di vedersi rinnovato, dopo tre mesi, il contratto per poter continuare a lavorare e che quindi produce una spirale al ribasso della capacità di autonomia di produzione di informazione e di comunicazione, abbassando al contempo il livello qualitativo.
Quello della precarietà è uno dei problemi più grandi della nostra società e nella comunicazione ha uno dei punti più evidenti e chiari di contraddizione.
Se ci predisponiamo ad una trasformazione di questa natura, credo questo sia uno degli impegni fondamentali che le forze d’opposizione oggi devono assumere in quel “patto politico” che è rappresentato dal programma; se noi ci predisponiamo ad una trasformazione così profonda, probabilmente apriamo una stagione nuova non soltanto per il nostro Paese, cosa pur fondamentale, ma anche perché il modello italiano è diventato in questi anni un modello da esportazione nel mondo, un elemento di tendenza che molti in Paesi si afferma: l’intreccio tra il controllo dell’informazione e il controllo dei media e il potere politico, che sta opprimendo quei processi di partecipazione che invece attraversano profondamente la nostra società.
La partecipazione alle primarie dimostra la necessità non solo che la politica ascolti masse così importanti di persone, che prendono il coraggio di mettersi in fila per ore per andare a votare, ma anche che si ponga il tema di come organizzare questa struttura, questa esigenza politica.
Probabilmente, se faremo questo nel 2014, quando andremo a rinnovare la convenzione tra Stato e Rai, ci daremo appuntamento a Londra per un dibattito in cui racconteremo ai nostri amici inglesi le grandi trasformazioni e il nuovo capitolo che l’Italia ha aperto nel tema della comunicazione.
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