Sergio BELLUCCI – (corretto) –
Ringrazio, innanzitutto, per l’invito ricevuto a partecipare a questa interessante giornata di lavoro, giornata di cui ho apprezzato sia la relazione introduttiva, sia molti interventi.
Proprio la dimensione e la qualità del confronto mi consentono di iniziare questo mio intervento, come non si può fare spesso ma solo in qualche occasione, da alcune emozioni personali.
Ieri sera tornavo a casa da una due giorni che ha visto molte persone impegnate in una discussione lunga ed accesa su contenuti e forme della politica. All’appuntamento di sabato, convocato da uno straordinario personaggio come Asor Rosa, e a quello di domenica, indetto da una serie di riviste della sinistra come Carta, Aprile e Alternative, alcuni di voi hanno partecipato, altri avranno sicuramente letto sui giornali. Ero contento per molte cose, anche se qualcosa aveva iniziato a rodermi dall’interno: era arrivata, a metà pomeriggio, la notizia delle dichiarazioni di Berlusconi sul comunismo come crimine e, al di là della forma risibile con cui aveva affondato il suo duro attacco ad una storia importante del ‘900, come quella del Movimento operaio nelle sue varie forme, avevo qualcosa che mi rodeva dentro e che non era legato direttamente a quelle dichiarazioni, ma ad un elemento che ho messo a fuoco con il passare delle ore. Quello che emerge è la capacità di Berlusconi ad entrare in una connessione sentimentale fortissima con il suo popolo (lui lo chiamerebbe sicuramente il target di riferimento) e va al di là di tanti piccoli dettagli di programma che noi sappiamo mettere in campo. Quello della connessione profonda è un terreno che noi molto spesso evitiamo di praticare o per pudore o per presunti calcoli politici.
È per questo che mi chiedevo, allora, che cosa dovrebbe fare oggi una coalizione delle opposizioni, cosa dovrebbero fare le forze politiche che si oppongono a questo governo di Centrodestra e se ci fosse il bisogno di dispiegare, anche da parte nostra e su questi terreni, una connessione. Ma come fare questa connessione? Per questo avevo pensato a questa nostra giornata come ad un momento utile per capire, per riflettere, per rilanciare. Una giornata per ascoltare e farmi ascoltare.
Questa mattina, però, prima di uscire di casa, mia madre mi ha fermato per chiedermi se, in qualche modo, avessi potuto accompagnarla, ad una certa ora, da una parte all’altra della città con la macchina. Le ho risposto: “Mi dispiace, non posso, ho dei problemi, ho un convegno, ma chiama un taxi, lo prenoti e quello arriva all’ora precisa”. Mia madre, settantenne, prende il telefono, compone il numero e fa un salto esclamando: “Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?!”, ed io: “Hai fatto il numero?”, e lei: “Sì, ma dall’altra parte c’è un signore che mi dice: vuole un taxi a Via Mario Rossi 5? Se sì prema il numero . . .”. Allora l’ho tranquillizzata dicendole: “Mamma, stai calma, qualcuno ha venduto il pacchetto delle informazioni del nostro telefono, senza dirci nulla, alla società di trasporto urbano”.
Certamente era complicato fargli comprendere la situazione e la distanza tra quello che io dovevo venire a fare qui e la connessione sentimentale che Berlusconi faceva con tre parole al suo popolo mi è apparsa in tutta la sua drammaticità.
Il convegno di oggi, come molto probabilmente sarebbe capitato anche a me se avessi dovuto in queste giornate organizzare per il mio partito un convegno su questi temi, ha al centro il tema che definiamo “società della conoscenza”. Una vera e propria parola d’ordine che si è imposta a tutti noi in qualche modo, ma dove è stata generata? Chi l’ha prodotta? Quei 91 billion dollari di margine che sono aggiunti ai 7 di valore industriale che ha Microsoft di Bill Gates (91 billion dollars che sono fatti per la maggioranza di diritti sui brevetti sui software che noi paghiamo o come persona o più spesso come collettività per l’utilizzo di qui software nelle aziende, negli istituti pubblici e dentro le nostre case; sarebbe sufficiente che la maggioranza degli Enti locali in Europa decidessero di non utilizzare software proprietari e quei 91 billion dollars crollerebbero immediatamente, state certi; non sono cose smaterializzate, quindi, ma sono contratti ben definiti e ben precisi) vengono dall’accumulazione della conoscenza? No, vengono da posizioni dominanti di mercato, dobbiamo essere molto chiari.
Parlavamo, dunque, di “società della conoscenza”, chissà dov’è nata questa definizione. A me questa mattina è venuto in mente che forse dovremmo chiamarla in un altro modo: “società della relazione”, dove il termine relazione dovrebbe essere inteso come appagamento. La società è fatta sempre di relazioni tra individui, ma basterebbe misurare i minuti di relazione sociale che oggi utilizziamo a pagamento per comprendere la qualità nuova della forma delle relazioni.
Se qualcuno ci avesse detto, solo pochi anni fa, che noi avremmo pagato per avere relazioni sociali con le persone care, il compagno, la compagna, i figli, il nostro mondo, gli avremmo risposto che stava sbagliando indirizzo. Oggi, attraverso l’uso di un semplice cellulare siamo costretti a pagare direttamente o indirettamente, per avere relazioni umane. Cosa significa questo? È definibile come società della conoscenza? O, per dirla meglio, è la società del profitto sulle relazioni?
Sono le relazioni umane, infatti, che sono messe a pagamento e la stragrande maggioranza del business, oggi presente nel mondo, non è concentrato sulla sedimentazione della conoscenza così come l’abbiamo affrontata oggi, ma nello scambio relazionale che facciamo con i mezzi di comunicazione. Sarebbe sufficiente a capire tutto ciò l’analisi delle quotazioni in Borsa delle aziende. Ma verso quale società stiamo andando?
Il problema che abbiamo davanti, allora, è che ruolo politico vogliamo svolgere oggi, quale connessione sentimentale vogliamo mettere in campo con una maggioranza di gente che ha il problema della “ricarica” del cellulare per garantire il loro livello di relazioni sociali, con quelli che hanno il problema dell’alfabetizzazione, con quelli che non sono in grado di gestire né i servizi sul telefonino, né di utilizzare la televisione digitale terrestre, con quelli che non possono permettersi l’acquisto di un computer o di pagarsi una connessione a rete, veloce o non veloce. Come si stanno producendo, cioè, quelli che io da anni chiamo “Sud digitali”, che sono un mix di condizioni economiche, di condizioni di infrastruttura, di condizioni sociali, di condizioni culturali che stanno ridisegnando la mappa dei poteri all’interno delle nostre società.
Questo è il problema dell’interconnessione emotiva che noi dobbiamo costruire con il nostro popolo, non quante risorse mettiamo su quel capitolo di spesa o su quell’altro. Se noi costruiamo quella connessione sentimentale, troviamo la strada per comprendere che cosa dobbiamo finanziare, qual è l’idea di governo che dobbiamo dare, ma se non rimettiamo quella connessione sentimentale, rivince Berlusconi! Questo è il punto!
Ieri ci veniva drammaticamente raccontato, in una delle relazioni della mattina, da Don Ciotti, che nello scorso anno in Europa ci sono stati 57.000 suicidi e che siamo arrivati a questo punto con drammatiche situazioni. Ce ne ha raccontate due che qui voglio riproporvi perché mi sono entrate nel profondo del cuore, quindi voglio che arrivino alle mie labbra il prima possibile: una ragazzina di 16 anni che, nel mese di novembre, ha lasciato scritto in un biglietto uccidendosi: “Scusate, non sono adeguata a vivere”; un altro che si uccide perché ha avuto un rimprovero sul posto di lavoro e pensava che, essendo precario e avendo quell’orizzonte della precarietà come orizzonte di vita, quel rimprovero gli avrebbe determinato una condizione di non ritorno, una condizione non sufficiente per sopravvivere e per pensare alla sua vita. 18 anni!
Occorre fare attenzione. Si sta producendo uno scarto gigantesco tra il senso e la vita. Questa società della conoscenza produce un senso della vita che si distacca sempre di più dalla condizione reale di grandi masse di persone, in carne ed ossa, e sono in larga parte la nostra gente, le nostre persone. Il panico avvolge le relazioni con il mondo e tutto sembra inutile.
La complessità dell’universo digitale, e l’accelerazione della produzione e dell’Infosfera rendono sempre più difficile una conoscenza adeguata della dimensione complessiva del sociale, e soprattutto rendono impossibile un governo razionale degli eventi, delle decisioni, degli spostamenti.
Io credo che qui bisogna fare un salto di qualità, non sto proponendo ovviamente una politica luddista, il rifiuto delle tecnologie. Il tema qui è, a mio avviso, come porre la materia dei nuovi beni comuni, di come riusciamo a costruire un welfare in questi settori, di come possiamo costruire un’ipotesi che in qualche modo detta le forme e le modalità della convivenza, legandole ai poteri reali delle persone, della gente.
Per chiudere questo mio vorrei lanciare un allarme.
Io ho una paura, credo fondata, che il Berlusconi di turno, prima o poi, possa arrivare a pensare di brevettare alcuni slogan e di impedirne l’utilizzo da parte di altri, da parte della Sinistra. Sulla strada dei brevetti stiamo facendo molto cammino in termini di garanzia alle limitazione delle libertà. Mi aspetto che qualcuno brevetti slogan del tipo “un altro mondo è possibile” e impedisca il suo utilizzo ad altri o pretenda il pagamento di una royalty. Stiamo drammaticamente su questa strada!
Siamo sulla strada nella quale, cioè, se passa ancora un po’ l’idea che si possano brevettare le relazioni ed i contenuti, i margini per fare, i margini della libertà, resteranno strettissimi, veramente troppo esigui per garantire processi democratici e di partecipazione.
Avrei voluto dire tante cose, dal controllo pubblico delle reti, cosa che noi avevamo auspicato in maniera fortissima facendo una battaglia durissima contro la privatizzazione della Telecom, per dotar questo Paese di un’infrastruttura adeguata per evitare almeno un pezzo di qui Sud digitali che invece oggi stanno attanagliando la nostra nazione.
Ma le scelte del governo della scorsa legislatura impedirono opzioni necessarie a non far cadere in serie B il nostro paese, come purtroppo altre scelte di politica industriale e di politica generale.
Noi tutti abbiamo l’appuntamento di Tunisi, nei prossimi mesi, non avrò qui la possibilità di spiegare, ma credo che luoghi come questi debbano in qualche modo essere connessi alla battaglia che lì si dovrà fare, che ancora non è chiusa e che quindi ha margini di lavoro.
E chiudo sulla vicenda del luogo. Una delle cose importanti che la rete ci sta trasferendo e che ci sta, in qualche modo, suggerendo è la comprensione che in realtà la società non funziona né in maniera orizzontale, né in maniera verticale, né con l’intreccio di queste due, ma che la società – lo era prima ed oggi in maniera ancora più evidente – funziona come una struttura a rete e quest’ultima non ha orizzontale o verticale, ha luoghi che si connettono o si disconnettono a seconda se quella rete riesce ad entrare in sintonia, appunto, con un sentimento, un’idea, un senso.
Se noi, allora, vogliamo costruire un programma che si oppone a Berlusconi in questo settore, dobbiamo costruire una rete, cioè il senso del perché si sta insieme a costruire un progetto.
Se noi facciamo questa cosa, le connessioni, che sono poi la politica, vengono da sole.
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