LA CITTÀ CABLATA

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LA CITTÀ’ CABLATA

 

INCONTRO NAZIONALE CON GLI ELETTI di Rifondazione Comunista – Napoli, 22 Settembre 1995

 

Da molti anni si afferma che stiamo entrando nella società dell’informazione. L’ubriacatura di televisione ( e di televisione commerciale), che il nostro paese vive da ormai un ventennio, ha in parte offuscato il significato vero di questa affermazione. La società dell’informazione non può e non deve essere scambiata per quella ove i vari Santoro o Costanzo di turno litigano per avere uno spazio più adeguato (per loro!) o contratti più soddisfacenti (sempre per loro!), ma qualcosa che attiene alla nostra vita, al nostro sentire, al nostro comunicare, alle modalità stesse di conoscenza del mondo e di possibilità di intervenire in esso.

Quella che viene definita la rivoluzione digitale (la possibilità, cioè, di veicolare qualsiasi modalità comunicativa – scrittura, musica, suoni, parole, disegni, immagini, sia fisse che in movimento -, attraverso una codifica numerica e manipolarli a proprio piacimento) sta investendo come un ciclone l’intero assetto delle società avanzate. Il suo avvento scuoterà alle fondamenta gli assetti dei poteri forti, da quello finanziario a quello che fu definito il “quarto potere”.

Per usare le parole di Negroponte ”

I bit ‑ il DNA dell’informazione ‑ stanno rapidamente sostituendo gli atomi come strumento fondamentale della comunica­zione tra gli uomini. La differenza tra lo schermo di un televisore e lo schermo di un personal computer sta diventando una mera questione di dimensioni e quelli che un tempo erano i mass media ‑ i mezzi di comunicazione di << massa >> ­stanno trasformandosi, poco a poco, in mezzi di comunicazione personalizzati a due vie (anche se questa trasformazione sarà un po’ più lunga). L’informazione non sarà più <<spacciata>> a potenziali consumatori, ma saranno gli utenti stessi a crearsi la specifica informazione di cui hanno bisogno.

Oggi, infatti, l’informatica non riguarda più il solo computer: è un modo di vive­re. I giganteschi computer centrali, i co­siddetti mainframe, sono stati in gran parte rimpiazzati dai personal compu­ter. Abbiamo visto i computer uscire da grandi stanze climatizzate per entrare in semplici armadi, passare poi sulle scri­vanie per finire, quindi, sulle nostre gi­nocchia e, infine, nelle nostre tasche. Ma non finisce qui.

Già dai primi anni del prossimo secolo microcompiuter delle dimensioni di un paio di gemelli da camicia o di orecchini, saranno ben più potenti degli attuali PC e addirittura in grado di comunicare tra loro grazie a una rete di satelliti su or­bite basse: altro che telefonini! L’appa­recchio telefonico non si limiterà a suo­nare o a registrare messaggi: selezionerà i messaggi e probabilmente risponderà alle chiamate come un  maggiordomo ben addestrato. La comunicazione di massa sarà rivoluzionata da sistemi che con­sentono di trasmettere e ricevere informazioni e passatempi personalizzati. La scuola diventerà più simile ad un museo interattivo e ad un campo‑giochi, dove i bambini potranno scambiare idee e socializzare con altri bambini di tutto il pianeta. Il mondo digitale diventerà piccolo come la capocchia di uno spillo altro che <<villaggio globale>>.

Aumentando le interconnessioni tra gli individui, molti dei valori tradizionali propri dello stato‑nazione lasceranno il passo a quelli delle comunità  elettroniche (…). Socializzeremo, infatti, in un vicinato digitale, dove lo spazio fisico sarà irrilevante e il tempo avrà un ruolo differente. Fra vent’anni, guardando dalla finestra, potrete vedere qualcosa distante da voi 10.000 chilometri e sei fusi orari. Un’ora di televisione potrà essere mandata a casa vostra in meno di un secondo. Un reportage sulla Patagonia potrà darvi la sensazione di andarci di persona. Un libro scritto da Stephen King potrà essere una conversazione con lui”.

Quello che può essere la rivoluzione digitale lo abbiamo appena intravisto nel decennio ’80. Ma l’accelerazione alla quale abbiamo assistito è probabilmente nulla di fronte a quello a cui saremo costretti. Infatti la vecchia rivoluzione digitale è stata “governata” con le logiche fordiste della cultura industriale (e le relative compatibilità sociali e istituzionali). La nuova fase sarà governata in un quadro di flessibilità generalizzata e pervasiva.

Il decennio ’80, quindi, io credo si sta chiudendo proprio oggi, sotto la spinta di una innovazione che in quel decennio era stata “governata” da un assetto dei poteri economici e politici e che oggi mostra la corda.

I processi di concentrazione che stanno avvenendo in questi mesi, il processo di privatizzazione di pezzi strutturali dell’economia, sono gli aspetti più evidenti di un riassetto di questi poteri.

Ma c’è una condizione necessaria per il dispiegarsi del nuovo tipo di sviluppo, dell’affermarsi della cosiddetta società dell’informazione: la realizzazione di una rete di comunicazione che metta il cittadino in condizione di essere un soggetto comunicante (sempre inteso come capacità di dialogare su un piano digitale)

Tutto ciò sarà reso possibile, anche e soprattutto, attraverso la cablatura del territorio.

Non è quindi neutro, il collocarsi dei comunisti in questa fase.

Non è neutro il tipo di rete che verrà costruita.

Non è neutra la capillarità con la quale verrà realizzata.

Non è neutro se a gestirla ci sarà un’azienda pubblica (con precisi obblighi) o una società privata, magari estera.

Non è neutro il suo carattere sociale o totalmente commerciale.

Non è neutro se sarà una rete in grado di rispettare il diritto di accesso di ogni individuo oppure il suo diritto alla privacy.

Le città, il territorio, i rapporti umani e sociali, come abbiamo sentito, stanno per essere investiti da un cambiamento che sarà molto più grande e profondo di quello segnato dall’avvento della televisione.

Ma questo cambiamento non è già scritto.

Molto dipenderà dal grado di consapevolezza con la quale sapremo affrontare le battaglie decisive di questi prossimi mesi.

La nostra ferma opposizione allo smantellamento del gestore unico delle telecomunicazioni (Telecom) e alla privatizzazione della STET (la finanziaria pubblica del settore delle telecomunicazioni) nasce proprio dall’idea che in questo delicato passaggio di fase i luoghi (sociali, aziendali) che possono essere sganciati dai puri vincoli di mercato devono essere preservati e, possibilmente, allargati.

Questo perché bisogna che non succeda quello che accadde con la televisione: il consolidarsi, cioè, di un uso totalmente mercantile del mezzo fino al punto che il più penetrante strumento di diffusione della conoscenza (per quantità e pervasività) ancora oggi non viene usato, ad esempio, per la formazione o la riqualificazione, ma è relegato a semplice strumento di intrattenimento.

Esiste una forte lobby internazionale (penso al G7) che punta ad un tale esito. Costruire una rete telematica che possa essere usata solamente per vendere prodotti.

Questo confronto si giocherà, per tutta una fase, proprio sul terreno dei centri abitati e della loro qualità della vita.

La storia delle collettività organizzate è sempre la  storia dei centri aggregativi, dei poli di organizzazio­ne, di centrali di interessi e  di culture.

La storica funzione propulsiva delle città può oggi essere arricchita da fattori che ne moltiplicano i confini, gli spazi e i tempi.

La presenza della rete metterà un centro urbano in contatto con il resto del mondo avanzato, espandendo i suoi confini agli stessi confini della rete; lo spazio cittadino sarà moltiplicato per tante volte quante saranno le sue interconnesioni tra i suoi abitanti e con gli abitanti della rete. La gestione dei tempi della città potrà essere stravolta e moltiplicata si pensi alla formazione a distanza, alla teleassistenza – sia sociale che medica -, alla possibilità di espandere i contatti tra cittadini e governo locale attraverso gradi di partecipazione impensabili fino a ieri, fino alla produzione di tele-certificazioni o altri servizi, in tempo reale sulle 24 ore.

Stiamo parlando, cioè, di un nuovo modello di sviluppo che prevederà una nuova dimensione me­tropolitana o, per definirla secondo le nuove tendenze, l’apertura di una prospettiva tecnopolitana.

Il problema che attualmente dobbiamo porci, sotto il pro­filo dell’organizzazione urbana e territoriale, è quello dei cambiamenti nella comunicazione. Si pensi, per un attimo, agli effetti che la sola introduzione del telefono ha avuto nella storia produttiva e sociale, ma anche all’influenza sulla dimensione e organizzazione delle città.

Parlare di comunicazione significa addentrarsi nel merito delle relazioni umane e, partendo dall’angolatura della geografia e dell’urbanistica, affrontare il problema degli spazi di relazione. La questione finisce, dunque, per assumere valenze diversificate a seconda dei modelli comunicativi, del­le modalità e delle tecniche con cui le società avviano pro­cessi relazionali.

Tempi e spazi delle relazioni umane vengono a costituire il reticolo di intese delle comunità. Ma se nel passato i metodi di orientamento nello spazio e nel tempo hanno poggiato su convenzioni che li con­nettevano a sequenze naturali o a scansioni culturali, sempre più la società moderna ha teso ad uniformare ed oggettivare tali coordinate ed oggi, il loro tendenziale azzeramento, rischia di produrre effetti di cui bisogna, sin da ora, tenere conto.

L’innovazione tecnologica nella comunicazione, la sua dif­fusione e massificazione a livello planetario, tende a produrre l’annullamento dei vincoli di prossimità spaziale e dei tempi delle connessioni. Tutto ciò sembrerebbe implicare una diver­sa, generale percezione e concezione di schemi di orien­tamento.

Riferimenti tradizionali ad attriti spaziali, distanze lineari, convenienze allocative, parrebbero perdere grande parte del loro significato.

Le mutate realtà impongono una riflessione critica sui termini del processo e sulle modalità dell’intervento per il cambiamento.

La nozione stessa di città, i cri­teri di diffusione, il concetto di distanza, la percezione di vi­cino e lontano, i parametri dell’analisi geografica ed urbani­stica, in questa luce vanno riesaminati in chiave sia epistemologica che progettuale.

Abbiamo, quindi, alcune domande che dobbiamo porci e che  ci inseguiranno nel lavoro dei prossimi mesi.

Quale rapporto dobbiamo ipotizzare tra le attuali città e l’innovazione tecnologica?

Quali riflessi nelI’organizzazione metropolitana e nelle dinamiche di relazione possiamo prevedere con l’inserimento delle IT e quali opzioni fare per orientare questi processi?

L’uso dell’innovazione tecnologica nella comunicazione in che misura, secondo quali percorsi e processi, può incidere suIIa città, sulla sua struttura urbanistica, sulla sua dimensione architettonica, sulle sue funzioni relazionali?

Quale rapporto possiamo riprogettare tra il problema della conservazione, della salvaguardia dei nuclei storici e l’immissione delle reti di comunicazione a fibra ottica?

Nella cartellina ci sono alcuni spunti di utilizzi, ipotesi di lavoro, sperimentazioni di attività produttive, idee di modifica del rapporto tra enti locali e cittadino.

Credo che insieme a queste ipotesi e a quelle che qui accenno solo per capitoli (nascita di nuovi gruppi sociali, l’organizzazione a rete, possibilità di modifiche strutturali nelle modalità decisionali che l’organizzazione a rete consente, la modificazione del posto e del tempo di lavoro – non solo attraverso il tele-lavoro -, i nuovi diritti nella rete ecc…) abbiamo il bisogno di fare il punto della situazione, lo stato di avanzamento dei lavori dentro le città che hanno già deciso la cablatura e i progetti ove ancora non si è affrontato il tema.

Abbiamo, cioè, bisogno di costruire una “rete” (scusate la banalità) che ci consenta di lavorare in modo complesso e che faccia marciare dagli enti locali ai luoghi di lavoro, alle singole abitazioni un idea non puramente mercantile di questa fase di sviluppo e che sappia analizzare le contraddizioni che si aprono per la costruzione di movimenti e forme di lotta orientati ad un cambiamento non passivo e passivizzante.


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